Irpinia 1980–2025: L’ECO DI UNA NOTTE CHE CAMBIO’ TUTTO

Irpinia 1980–2025: LECO DI UNA NOTTE CHE CAMBIO TUTTO

Quarantacinque anni dopo quel maledetto 23 novembre del 1980, alle 19:34 precise, l’Irpinia porta ancora addosso le cicatrici di una notte che ha cambiato tutto. Case giù come castelli di sabbia, famiglie distrutte, migliaia di sfollati. Una terra ferita che però, testarda com’è, non ha mai smesso di rialzarsi.

E questo bisogna dirlo, senza paura: la ricostruzione non è stata solo mattoni, carte e delibere.
È stata soprattutto la gente.
Quella che scavava a mani nude, quella che piangeva e intanto aiutava, quella che non si è mai rassegnata.

È stata anche l’Italia intera che si è mobilitata, e le istituzioni con in testa il Presidente Pertini , che portarono attenzione su una tragedia che aveva colpito il cuore del Paese.

Tra memoria e realtà: ciò che è stato fatto

Sarebbe ingiusto negarlo: molte cose sono cambiate.
Paesi rinati, scuole messe in sicurezza, strade ricostruite, edifici pubblici nuovi, una Protezione Civile che oggi è un modello.
Interventi antisismici, urbanistica ripensata, prevenzione che  almeno sulla carta  è diventata un pilastro.

L’Irpinia ha dimostrato di avere la schiena dritta.
Si è alzata, ha stretto i denti, ha ricominciato.

Ma, come dice il Dr Salvatore Alaia: non basta dirsi bravi ,bisogna guardare anche dove non si è arrivati.

Ciò che manca: un invito a guardarsi in faccia

Perché sì, molto è stato fatto.
Ma molto, troppo, è rimasto per strada.

1. I prefabbricati ancora abitati

Parliamoci chiaro, senza fronzoli:
nel 2025 ci sono ancora prefabbricati del dopo-terremoto.

Dovevano essere provvisori.
Dovevano durare mesi.
Per alcuni sono diventati anni.
Per altri, una vita.

Non è un’accusa, è un fatto.
E un fatto va affrontato, non nascosto sotto il tappeto.

2. L’economia che se ne va

Paesi svuotati, giovani che partono, servizi che chiudono.
Una ricostruzione fatta a metà, perché rimettere in piedi i muri non basta se non rimetti in piedi anche le persone.

La sfida è semplice da dire, difficile da fare:
portare lavoro, opportunità, cultura nei paesi dell’interno.
Sennò la ricostruzione resta un guscio.

3. La prevenzione che deve diventare mentalità

Le norme ci sono, gli strumenti pure.
Ma la prevenzione non è solo tecnica: è educazione, responsabilità, vigilanza, manutenzione.

Il terremoto del 1980 ci ha insegnato che non possiamo permetterci di dormire.
Mai.

L’eredità più grande

Non sono le carte, non sono i fondi, non sono i progetti.
L’eredità più importante è la gente.

Quella che ha ricostruito da zero.
Quella che non se n’è andata.
Quella che ha trasformato il dolore in forza.

L’Irpinia non vive di rancore. Vive di memoria.
Una memoria che pesa ma che sostiene.

Memoria e futuro: il cammino che dobbiamo fare

E allora, ricordare il 23 novembre non significa stare fermi a guardare il passato.
Significa dire, guardandosi negli occhi: “c’è ancora da fare.”

E qui parla la voce alla Alaia: diretta, senza mezzi termini.

Non servono cerimonie vuote.
Serve completare ciò che è rimasto a metà.
Serve dare risposte a chi vive ancora nel provvisorio.
Serve un’Irpinia che non si accontenta.

Perché la verità è una sola:

Finché ci sarà una casa, un paese, una famiglia che aspetta, la ricostruzione non è finita.
E non smetteremo di ricordarlo.
Mai.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        Irpinia 1980–2025: LECO DI UNA NOTTE CHE CAMBIO TUTTO Irpinia 1980–2025: LECO DI UNA NOTTE CHE CAMBIO TUTTOIrpinia 1980–2025: LECO DI UNA NOTTE CHE CAMBIO TUTTO