
Dopo 25 anni di detenzione, Giovanni Brusca, uno dei più spietati esponenti di Cosa Nostra, ha lasciato nel pomeriggio il carcere romano di Rebibbia. Il suo nome è tristemente legato ad alcune delle pagine più oscure della storia criminale italiana, a partire dalla strage di Capaci del 23 maggio 1992, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta.
Brusca, fedelissimo di Totò Riina, è stato per anni un temibile killer e uomo d’onore della mafia corleonese. Era lui a premere il telecomando che fece esplodere il tritolo sull’autostrada A29, nei pressi di Capaci, un attentato che segnò uno spartiacque nella lotta dello Stato contro la mafia.
Il boss, noto anche come “’u verru” (il porco), non è stato soltanto l’esecutore della strage di Capaci. Il suo nome è legato anche ad altri efferati delitti, tra cui l’atroce uccisione di Giuseppe Di Matteo, il figlio undicenne del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo. Il piccolo venne rapito nel novembre 1993 e tenuto prigioniero per 779 giorni in condizioni disumane, prima di essere strangolato e sciolto nell’acido nel gennaio 1996. Il suo assassinio fu un tentativo di indurre il padre a ritrattare le sue dichiarazioni contro l’organizzazione mafiosa.
Nel corso degli anni, Giovanni Brusca ha scelto di collaborare con la giustizia, fornendo numerosi dettagli sulle dinamiche interne di Cosa Nostra e sui legami tra mafia e politica. Questa collaborazione gli ha permesso di ottenere significative riduzioni di pena. Come riportato dall’Espresso, Brusca ha quasi interamente scontato la sua condanna e ora dovrà osservare quattro anni di libertà vigilata, come stabilito dalla Corte d’Appello di Milano dopo il pronunciamento del Tribunale di sorveglianza di Roma.
La sua scarcerazione ha inevitabilmente riacceso il dibattito pubblico. Da un lato c’è chi, come molte associazioni antimafia e i familiari delle vittime, esprime profondo sconcerto e indignazione di fronte alla liberazione di un personaggio così compromesso con la violenza e la sopraffazione. Dall’altro lato, alcuni giuristi sottolineano come si tratti di una procedura prevista dalla legge: anche i collaboratori di giustizia, se giudicati sinceri e utili dallo Stato, hanno diritto a benefici penitenziari.
Resta il fatto che la figura di Giovanni Brusca rappresenta ancora oggi un simbolo di quanto sia stato brutale e disumana l’azione di Cosa Nostra negli anni ’80 e ’90. La sua liberazione non cancella né le sofferenze delle vittime né la memoria di quei terribili anni di sangue.