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Sono passati 45 anni da quella domenica sera in cui l’Italia fu sconvolta da uno dei terremoti più devastanti del dopoguerra. Il 23 novembre 1980, alle 19.35, una violentissima scossa di magnitudo 6.9 della scala Richter, pari al 10° grado Mercalli, colpì l’Appennino Meridionale con epicentro tra i comuni avellinesi di Teora e Conza della Campania. Un sisma lungo 90 interminabili secondi che segnò per sempre la storia dell’Irpinia, della Basilicata e di una parte della Puglia.
La scossa e la devastazione
L’onda sismica si propagò lungo un’area immensa, circa 17.000 km², dall’Irpinia al Vulture, coinvolgendo province di Avellino, Salerno, Potenza e toccando anche il territorio di Foggia. Il bilancio fu drammatico:
2.981 morti
9.000 feriti
oltre 300.000 sfollati
Il terremoto, il più forte registrato in Italia dopo la Seconda guerra mondiale, sconvolse la vita di circa 6 milioni di persone.
Tra i simboli di quella notte si ricordano anche le registrazioni audio del sisma: un cittadino di Lioni, mentre armeggiava con un registratore, immortalò per caso il suono dei crolli e dei boati. La bobina, consegnata mesi dopo a “Radio Alfa”, venne diffusa dal direttore artistico Michele Acampora, diventando una testimonianza unica di quei terribili istanti.
Il ritardo nei soccorsi e l’appello di Pertini
Il ritardo nei soccorsi fu evidente e divenne una ferita civile oltre che umana. Il 26 novembre 1980, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, dopo aver visitato le zone colpite, denunciò pubblicamente le inefficienze nella gestione dell’emergenza. Lo stesso giorno, il quotidiano Il Mattino uscì con la celebre prima pagina: «FATE PRESTO».
Nel suo appello alla Nazione, Pertini pronunciò parole rimaste scolpite nella memoria collettiva:
«Qui non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana. Tutti gli italiani e le italiane devono mobilitarsi per andare in aiuto ai loro fratelli colpiti da questa nuova sciagura. Perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è pensare ai vivi.»
La ricostruzione e il ruolo di Zamberletti
La gestione dell’emergenza venne affidata a Giuseppe Zamberletti, già impegnato nel terremoto del Friuli del 1976. La sua azione segnò l’inizio della moderna Protezione Civile italiana, motivo per cui è ricordato come il suo “padre”.
Con la Legge 219 del 1981 iniziò la ricostruzione nei territori colpiti delle province di Avellino, Benevento, Caserta, Matera, Foggia, Napoli, Potenza e Salerno. I comuni coinvolti passarono da poche decine all’impressionante cifra di 687, pari all’8,5% dei comuni italiani.
La mole di finanziamenti fu ingente: 50.620 miliardi di lire, come riportato nella relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Oscar Luigi Scalfaro. Una somma enorme destinata all’emergenza, alla ricostruzione pubblica e privata, allo sviluppo industriale e al “Piano Napoli”.
Proprio con il Piano Napoli furono realizzati 20.000 alloggi e oltre 100.000 vani nelle periferie cittadine e in 17 comuni della provincia. Nacquero i “Quartieri 219”, ancora oggi luoghi di dignità e fragilità, segnati da profonde contraddizioni sociali ed economiche.
Accanto allo sforzo istituzionale, tuttavia, si attivò subito anche la cosiddetta “camorra imprenditrice”, inserendosi nel grande flusso di appalti e finanziamenti pubblici.
La memoria e le nuove iniziative dell’INGV
A 45 anni dalla tragedia, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) promuove nuove iniziative per consolidare la cultura della prevenzione, partendo proprio dalla memoria.
Tra queste:
la prima “Mappa dei ricordi dei terremoti d’Italia”, che raccoglie testimonianze dirette
la call to action “Custodi di Memoria” sui canali social INGVterremoti
la nuova Story Map “Quella domenica sera”, un percorso interattivo con fotografie, mappe, documenti, TG dell’epoca e materiali geologici e storici
Un modo innovativo per rielaborare quel lutto collettivo attraverso la digitalizzazione delle memorie.
La testimonianza: un ricordo personale di quella notte
Il sociologo e giornalista Antonio Castaldo ha raccontato un proprio ricordo di quel giorno, che restituisce il clima umano e emotivo di quelle ore:
*«Mi trovavo a Reggio Emilia per un corso di formazione e lavoravo il weekend a Novellara. Quella domenica, finito il turno, provai inutilmente a telefonare ai miei familiari: la linea cadeva continuamente e pensai a un guasto tecnico. Appresi solo più tardi la notizia del terremoto. Il giorno dopo partii con degli amici: sull’autostrada una lunga colonna di mezzi di soccorso correva verso Sud. Avevo paura di tornare e trovare macerie anche a Brusciano. Arrivato a casa e abbracciati i miei, organizzammo subito una raccolta di beni e raggiungemmo i paesi colpiti per consegnare gli aiuti. Era stato volontario in Friuli nel 1976, ma quanto visto in Irpinia e Basilicata superava ogni immaginazione». *
Un’eredità che ancora parla
Il terremoto del 23 novembre 1980 non è soltanto un evento storico: è una memoria viva che continua a insegnare l’importanza della prevenzione, della solidarietà e della cura del territorio.
Ogni anniversario non è solo commemorazione delle vittime, ma anche un invito a rinnovare l’impegno verso una cultura della sicurezza, affinché tragedie così devastanti non colgano più impreparati.
