Da Viviani a De Filippo, al Delle Arti «Due Atti Senza Vedere»

Da Viviani a De Filippo, al Delle Arti «Due Atti Senza Vedere»

Gianluca Merolli porta in scena la recita della luce e del buio: incertezza del mondo e regno della fantasia

Con la regia di Gianluca Merolli, venerdì 9 febbraio alle 21.00, va in scena, al Teatro delle Arti di Salerno, «Due Atti Senza Vedere, da Raffaele Viviani ad Eduardo De Filippo», terzo appuntamento della rassegna Napul’è Mille Culure. Lo spettacolo ha debuttato a Roma allo Spazio Diamante e si è aggiudicato il premio InDivenire per la «miglior regia» e per il «miglior attore protagonista». Il regista Merolli, conosciuto al grande pubblico per essere interprete di numerosi musical italiani, tra cui ‘Ama e Cambia il Mondo’ prodotto dal compianto David Zard, salirà sul palcoscenico nelle vesti del protagonista. Con lui, la direttrice artistica di TeatroNovanta, Serena Stella che dice: «È una prova complicata perché sono dei personaggi che non hanno fronzoli e godono di poca popolarità. Però, alle spalle, hanno una storia che il pubblico non sa. In poco più di un’ora di spettacolo, devo raccontare il mio personaggio e tutta la sua storia». Sullo spettacolo, Stella aggiunge: «Nonostante la cecità e il buio, Merolli ha dato luce agli occhi nostri, come attori, e riuscirà a dare luce agli spettatori».

Nonostante le somiglianze e la stima che legava Viviani e De Filippo, i due sono drammaturgicamente molto distanti. Merolli, con «Due Atti Senza Vedere», si propone di fare da trait-d’union, rievocando «La musica dei ciechi» di Viviani del 1928 e «Occhiali Neri» di De Filippo del 1945. Tema principale è la cecità. «La recita della luce e del buio, laddove l’una rappresenta l’incertezza del mondo e l’altro il regno della fantasia» – sottolinea Merolli che spiega: «Lo spazio del cieco si riduce, almeno inizialmente, a quello del suo corpo. Il mondo sembra confondersi in un flusso continuo di cambiamenti che non sono più controllabili. Lo spazio si riduce, andando a combaciare col perimetro del suo corpo e il tempo, al contrario, si dilata». Nella rappresentazione, la privazione della vista si trasforma in aridità scenografica, nel rifiuto del superfluo. Le luci racconteranno l’alternarsi di vuoto e pieno, gettando sullo spettatore la responsabilità di indagare l’oscurità da un altro punto di vista.

«La reinterpretazione – evidenzia Alessandro Caiazza, direttore organizzativo di TeatroNovanta – in chiave moderna e contemporanea di due grandi classici sposa appieno l’idea che è alla base di Napul’è Mille Culure, la nostra rassegna. Ne viene fuori un teatro più fruibile per un pubblico giovane».