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di Francesco Piccolo
C’erano difensori che non cercavano il bello, ma solo il necessario: marcare l’uomo, vincere i duelli, farsi sentire a ogni contrasto. Non inseguivano applausi né scenografie: erano uomini di sostanza e carattere, quelli che trasformavano la difesa in una diga invalicabile.
Nel calcio mandamentale quel ruolo ha avuto un interprete esemplare: Michele Napolitano, classe 1967. Un metro e ottanta di solidità, difensore centrale roccioso, nato per difendere e resistere.
Per oltre vent’anni ha protetto l’area come un guardiano antico: parlava con i contrasti, con lo sguardo fermo, con la capacità di annullare l’avversario e di dare sicurezza ai compagni. Guerriero senza compromessi, ha incarnato il ruolo con disciplina e orgoglio.
Il suo era un calcio essenziale: concretezza, sacrificio e anima. Chi lo ha visto giocare sa che non era solo pallone, ma soprattutto una sfida di volontà, coraggio e appartenenza. È per questo che il nome di Michele Napolitano resta inciso nella memoria di chi ha vissuto quel calcio autentico e faticoso, fatto di sudore e orgoglio.
Gli inizi: Baiano e il sogno Napoli
La storia di Michele Napolitano comincia sui campetti polverosi del Baiano, nella categoria Pulcini. Lì, tra porte improvvisate e palloni consunti, emerge subito la sua natura di marcatore: duro nei contrasti, generoso nella corsa, istintivamente portato a difendere.
Quel talento non passa inosservato e lo porta presto a indossare la maglia del Napoli, nella formazione Esordienti guidata da Di Lella e Cane. Per un ragazzo del Mandamento è un sogno che prende forma: allenarsi con i colori partenopei, respirare l’aria di un club che viveva la grandezza degli anni d’oro.
Ma la realtà, a volte, è più forte dei sogni. Non c’era il tempo materiale per accompagnarlo con continuità fino a Napoli: gli impegni familiari non lo permettevano. Così quell’esperienza si interruppe, senza però scalfire la sua voglia di calcio.
Approda allora alla Mirgia Irpinia del presidente Gino Corrado, dove disputa i campionati Giovanissimi e Allievi, continuando a crescere e a forgiare il suo carattere. Poi il passo successivo è la Primavera ’81 di mister Biagio Peluso: un ambiente competitivo che lo prepara al salto verso categorie più importanti.
L’anno dopo il ritorno alle origini, nella sua Baiano, dove ritrova Peluso e soprattutto conquista le sue prime vere vittorie: prima il campionato di Seconda Categoria, poi quello di Prima. Trionfi che valgono doppio, perché arrivano con la maglia del paese, davanti alla propria gente.
È lì che Napolitano comincia a trasformarsi da giovane promessa a colonna difensiva, costruendo mattone dopo mattone la carriera di un leader silenzioso e indomabile.
Palmese: otto anni di battaglie
Il 1987 segna la svolta nella carriera di Michele Napolitano. Approda alla Palmese, dove resterà per otto stagioni, attraversando anni intensi fatti di sacrificio, sudore e battaglie domenicali.
Con i rossoneri scrive alcune delle pagine più belle della sua carriera: vince un campionato di Prima Categoria, poi uno di Promozione, fino ad arrivare a calcare i campi dell’Eccellenza. In quegli anni diventa non solo un pilastro della difesa, ma anche una bandiera amata dalla tifoseria. Sempre pronto a mettere il corpo e il cuore per la maglia.
Terminato quel lungo ciclo a Palma Campania, la vita impone nuove esigenze: per motivi lavorativi si trasferisce per un anno allo Sperone, in Prima Categoria. Anche lì, però, non perde la sua identità: guida la squadra fino a un dignitoso quarto posto, confermandosi punto di riferimento in ogni contesto.
Carotenuto: la diga rossonera
Dopo l’esperienza con la Palmese, per Michele Napolitano arriva una nuova sfida: la chiamata del Carotenuto, club ambizioso guidato dal presidentissimo Angelo Sanseverino e dal direttore sportivo Angelo Monteforte. In panchina si alternano Michele Bianco, Zavino e, nella stagione 1994/95, il dottor Pietro Bianco.
Con i rossoneri diventa subito perno della retroguardia. Per due anni consecutivi il Carotenuto sfiora la vittoria, fermandosi a un passo dalla gloria. Alla terza occasione, con la determinazione di chi non conosce resa, arriva il trionfo: la squadra conquista la Promozione, e Michele è tra i protagonisti assoluti di quell’impresa.
Quella stagione resta impressa come una delle più grandi della sua carriera: un campionato vissuto con la rabbia buona del guerriero e la costanza del veterano. E non finisce lì: il cammino continua in Eccellenza, dove conferma tutta la sua solidità, respingendo avversari e scrivendo nuove pagine di storia per il club.
Il ritorno a casa e le nuove sfide
Dopo il ciclo rossonero, per Michele si apre un nuovo capitolo. Approda al Grottaminarda, dove disputa il campionato di Promozione, prima di tornare nella sua amata Baiano, la squadra del cuore, con cui affronta i campionati di Promozione ed Eccellenza.
Poi arriva una parentesi speciale al Quadrelle. Con i bianconeri vive una stagione memorabile: conquista un campionato di Promozione e approda nuovamente in Eccellenza. Per la comunità quadrellese è un traguardo storico, ancora ricordato a distanza di anni.
Nel 2005 veste i colori del San Tommaso in Promozione, quindi passa al Pietrastornina. A campionato in corso rientra ancora al Carotenuto, stavolta guidato dal suo ex capitano e compagno di reparto Pasquale Vasta: un incontro che sa di destino e continuità.
Il Baiano, però, resta sempre casa. Qui Michele rivive la magia di vent’anni prima: con i “cerbiatti” conquista un nuovo campionato di Seconda Categoria, stavolta con Antonio Peluso in panchina, figlio di quel Biagio che lo aveva allenato agli esordi. L’anno successivo, in Prima Categoria, arriva una salvezza sofferta ma preziosa, che vale come un trofeo.
Gli ultimi anni lo vedono ancora protagonista allo Sperone, in Seconda Categoria. Ma è ormai chiaro che per Michele si apre un nuovo cammino: quello di chi, dopo aver dato tutto sul campo, diventa memoria viva, guida e punto di riferimento per il calcio del suo territorio.
Dal campo alla panchina
Gli ultimi anni da calciatore non spengono la passione, anzi la trasformano. Michele Napolitano inizia così un nuovo cammino: quello da allenatore. La sua prima esperienza è con i ragazzi della Peluso Academy, dove trasmette ai più giovani lo spirito del marcatore vero, fatto di sacrificio e disciplina.
Poco dopo arriva la prima vera panchina: lo Sperone in Seconda Categoria. Non è un passaggio semplice, ma Michele porta con sé la grinta di sempre e la capacità di guidare un gruppo. Seguono il Sirignano e poi il ritorno al Carotenuto, dove vive da tecnico una stagione intensa e indimenticabile.
La sua carriera continua senza soste. Nella stagione successiva parte con il Mugnano in Promozione, ma a metà campionato sceglie l’Atletico Baiano, prima che la stagione venga interrotta dall’emergenza Covid. È un colpo duro, che però non intacca la sua voglia di panchina.
Dopo un anno al Gesualdo e una parentesi sabbatica, Michele torna ancora a Mugnano, questa volta sulla panchina dell’A.S.D. Mugnano. Un ritorno che sa di continuità, di legame con il territorio e con il calcio mandamentale, quello che lo ha visto nascere e crescere come calciatore e che oggi lo riconosce come guida.
Per Napolitano è un nuovo campo di battaglia: non più i contrasti e le marcature, ma le scelte tattiche, la gestione degli uomini, la capacità di trasmettere esperienza e coraggio. Dal campo alla panchina, resta lo stesso Michele: uomo di sostanza e coraggio, guida silenziosa e carismatica.
Caratteristiche tecniche
Michele Napolitano è stato uno dei più granitici difensori centrali del calcio mandamentale. Di testa era un ariete: saltava e colpiva come se dovesse abbattere muri. Sull’anticipo non aveva rivali, e nella marcatura era implacabile: l’attaccante che gli capitava addosso finiva prigioniero, senza via di scampo. Una vera diga, capace di contenere ogni piena.
Il suo carattere era ruvido, cattivo quanto bastava per fare paura, ma leale nel rispetto del gioco. Sempre pronto alla battaglia, non si nascondeva mai. Tra le sue doti speciali c’era una rimessa laterale che diventava arma impropria: lanciava il pallone come fosse una catapulta medievale, rendendo un gesto semplice un’arma da gol.
Di Michele Napolitano si ricorda…
• la roccia difensiva della Palmese e del Carotenuto, simbolo di solidità e grinta;
• i tanti ritorni a Baiano, con la maglia granata cucita addosso come una seconda pelle;
• il trascinatore silenzioso, capace di guidare squadra e tifosi, prima in campo e poi dalla panchina.
Io sono Michele Napolitano!
La mia diga non è mai crollata.
Appuntamento alla prossima puntata.


























