Baiano . E’ finito il teatrino…. al Colosseo, il “pienone” della compagnia L’Aquilone

Baiano . E’  finito il  teatrino…. al Colosseo, il “pienone” della compagnia L’Aquilone

di Gianni Amodeo

Fotoservizio a cura di Franco Albertini

E’ tutto da vedere il gioco ad incastro, in cui i principi del buon senso e l’ossequio  delle apparenze della dignità e del civile decoro s’incrociano, quasi fondendosi con le distorsioni e le anomalie  dei comportamenti generati da patologie e disturbi mentali di indecifrabile natura dagli esiti imprevisti e imprevedibili, come quelli riferibili allo spettro dell’autismo, preso per le molle della pura osservazione e dello stupore, per tentare di capirne l’essenza; ed è il gioco, in cui si sovrappongono e mescolano la normalità dei canoni che si tramandano inalterati e integri nel tempo alla pari del generale pensare e sentire, e la relativa normalità altra, travalicando i rispettivi codici identificativi e di visione.

Accade così che l’una e l’altra– la realtà comune cristallizzata dalle convenzioni e la realtà disturbata, per dir così, e considerata tale con diagnosi e referti incontestabili, ma senza risolutive terapie – si rincorrano bizzarramente, scambiandosi profili e  ruoli in una spirale avvolgente di situazioni ed episodi a sorpresa, che si dipanano sul filo della garbata comicità, tra piccole e grandi ipocrisie intessute di convenienze e scaltri particolarismi, così come si vivono nella quotidianità di tutti i contesti famigliari. E’ il dipanarsi dal ritmo incalzante e brioso, nella fervida ricerca della risposta esauriente e convincente alla domanda sullo statuto della normalità e sul quid che la costituisce. E’ la domanda, che ritorna con insistenza nelle battute del conciso e rapido monologo, con cui  Enzo Righi– interpretato da Matteo Monteforte, pensoso ed eclettico nel gusto per la leggerezza e la gioia del vivere senza assilli e preoccupazioni, da uomo dimondo qual è per stile ed apertura mentale, oltre che da applaudito  cantante che si esibisce sulle navi di Gran crociera– introduce … E’ finito il teatrino, la commedia di genere brillante, scritta da Vincenzo Salemme e Enzo Iacchetti. Una domanda complicata per una risposta …. parimenti complicata che per vari aspetti resta sospesa.

La messa in scena nel Colosseo del testo di Salemme Iacchetti, ha fatto da start alla ri-presa dell’attività stagionale de L’Aquilone, la compagnia di teatro amatoriale, operante sul territorio, con la programmazione  rimasta bloccata nel biennio della pandemia da Covid19. Una ripresa in bello stile, con il pienone del pubblico per le tre serate  consecutive di spettacoli, in virtù di una rappresentazione curata nei dettagli e interpretata con disinvolta spigliatezza da un cast pienamente calato nella trama della commedia, incentrata sulle esperienze, a  cui la vita chiama i fratelli Righi, in coincidenza con la morte della madre che ha lasciato in loro retaggio un consistente patrimonio di beni, mobili e immobili.

 C’è Cico, in cui albergano sia lo  strano male – l’ autismo– sia qualcosa d’altro ancora d’indefinito e non diagnosticato, a dire del fratello Stefano, nel darne conto ad Enzo, ch’è appena rientrato in casa per il luttuoso evento dopo lunghi tempi d’assenza. Ed è lo stesso Stefano, per quel che può ed è in grado di fare, a prendersi cura di Cico, assecondandone tutte le richieste e affermazioni, senza mai contraddirlo, per quanto insensate siano- e sono sempre tali-, ma soprattutto  per non urtarne la suscettibilità, con il lungo corteo di escandescenze e reazioni inconsulte che ne deriverebbero, alimentate dallo strano male e da qualcosa d’altro ancora. Ed è lo stesso Stefano -agente di cambio di valute, non particolarmente avveduto e provveduto- che per anni s’è fatto carico di assistere anche la madre, afflitta da malattie e costretta a vivere le sue giornate a letto. Una serie di responsabilità che Stefano – interpretato da Salvatore Sgambati con nitida incisività e la ben calibrata dose  di maliziosi e calcolati ragionamenti propri del personaggio- mette in campo, per rivendicare un di piùse non il tutto– della cospicua eredità materna. E’ la partita che Stefano gioca in proprio- secondo i correnti paradigmi di vita, senza particolari distinzioni e diversità di ceti, piccoli, medi e  alti che siano nella scala sociale, sfociando in lunghe contese, ostilità e diatribe da Tribunale e  carte bollate- verso Enzo, il viveur  che non s’è mai preso cura della madre.

Naturalmente, Cico, il fratello affetto dallo strano male e da qualcosa d’altro ancora, non è della partita per la spartizione dell’eredità, pensa Stefano, senza alcun ritegno, anzi lo dichiara ad Enzo, per renderlo complice del progetto. E’ di menomata condizione nell’intendere e nel volere- Cico–  secondo la normalità corrente e le comuni convenzioni. Tenerlo fuori dall’operazione, non costituisce per nulla un problema: Cico, non è in grado di capire alcunché, come la normalità esige e detta. Il disegno d’appropriazione è di Stefano, ma Enzo non è indifferente al suo positivo risultato, potendone trarre sicure utilità, per un verso o per l’altro. Ma, si sa, bisogna sempre fare i conti con l’oste. E così sulla scena irrompe la normalità di Cico, tutt’altro che lo strampalato e incredibile personaggio, affetto dallo strano male e da qualcosa d’altro, nel cui intercalare, scrutando immancabilmente oltre la finestra, risuona sempre e fuori nevica, anche se non svolazza alcun fiocco di neve.

 E’ la normalità, che Cico -posto in scena da uno straordinario Leandro Marino– ostenta a modo suo e con padronanza assoluta, lasciando sconcertati i fratelli della malizia, recitando a memoria tutte le clausole e condizioni di acquisizione del patrimonio ereditario materno, così come sono trascritte nelle pagine- una decina– nel testamento redatto dal Notaio, impersonata da un irreprensibile e accorto Stefano Colucci. L’infittirsi della recitazione mnemonica delle clausole e condizioni, per le quali Cico rende chiari i  propositi di far valere i personali diritti di erede, è un gioiello interpretativo, il sigillo di qualità di una rappresentazione amatoriale e dilettantistica, ma pervasa di tanta passione e dedizione, con il supporto di un interessante background culturale. Ben meritati gli applausi di ciascuna fine- spettacolo, riservati a Matteo Monteforte, Leandro Marino, Salvatore Sgambati e Stefano Colucci. Un cast guidato ed orientato alla meglio dalla regia di Mariagrazia Riccardi,  con Pasquale Tarantino, scenografo, Stefano Napolitano, tecnico di luci e audio, e Antonella Lippiello, suggeritrice.

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