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Napoli – 7 settembre 1860. La città si è svegliata stamane con un’aria nuova, carica di attesa e di tensione. Dopo settimane di incertezza e il progressivo arretramento delle truppe borboniche, il generale Giuseppe Garibaldi ha fatto il suo ingresso trionfale nella capitale del Regno delle Due Sicilie.
Re Francesco II di Borbone, ormai consapevole della fragilità del suo potere, aveva lasciato la città appena ventiquattro ore prima, rifugiandosi con l’esercito fedele nella roccaforte di Gaeta. La popolazione partenopea, privata della presenza reale ma colma di speranza, ha accolto Garibaldi con una folla oceanica, festante e rumorosa.
Secondo alcune cronache, il generale è giunto addirittura a bordo di un treno proveniente da Salerno, un gesto che ha reso ancor più scenografica la sua comparsa tra la gente comune. Altri racconti lo vedono a cavallo, con la celebre camicia rossa e un tricolore in mano, mentre percorre le strade di una Napoli in delirio.
Nessuna resistenza significativa è stata opposta dai reparti borbonici rimasti in città: presidiati nei castelli, i soldati hanno preferito non sfidare la massa entusiasta. “L’applauso e l’imponente condotta di questa grande popolazione bastarono a renderli inoffensivi”, scriverà lo stesso Garibaldi in seguito.
Dietro le quinte, un ruolo non secondario lo ha giocato l’abilità politica di Liborio Romano, ministro degli Interni del governo borbonico, che ha favorito l’ingresso pacifico di Garibaldi e, secondo voci insistenti, avrebbe persino coinvolto la rete della Camorra per garantire l’ordine pubblico e una calorosa accoglienza.
Con l’ingresso a Napoli, il dominio borbonico sul Sud può dirsi pressoché concluso. Resta l’ombra della battaglia sul Volturno, ma la città, cuore pulsante del Regno, ha ormai scelto il suo nuovo destino.
Il 7 settembre 1860 rimarrà impresso nella memoria collettiva come il giorno in cui Napoli, tra cori e bandiere, spalancò le porte al processo di unificazione nazionale.
