LA VERITÀ INCISA NELL’ARGENTO VIVO. ​Storia di Fede e Onore del Popolo Sirignanese in Onore di Sant’Andrea Apostolo

LA VERITÀ INCISA NELLARGENTO VIVO. ​Storia di Fede e Onore del Popolo Sirignanese in Onore di SantAndrea Apostolo

SIRIGNANO, 29 Novembre 2025 (vigilia di Sant Andrea). 

NON È UN SEMPLICE RACCONTO, MA UN ATTO DI FEDE SIRIGNANESE TRAMANDATO. QUESTA È LA VERITÀ DELL’ONORE INCISO NELL’ARGENTO VIVO E NELLE PIETRE PREZIOSE, DOVE IL LORO SPLENDORE ABBAGLIANTE HA RESO MIOPI CHI NON VUOLE VEDERE IL DECORO DELLA NOSTRA STORIA. UNA STORIA CHE AFFONDA LE SUE RADICI NELLA PROFONDA TRADIZIONE DEI PADRI E CHE VIVE NELLA MEMORIA STORICA DI SIRIGNANO. ​” I O MIRACUL RE SARD E ARGIENT DO SANT PISCATÒR’

Da tempo la mia vita è cambiata. A volte la vita stessa ci sottopone a dei cambiamenti, forse sarà il tempo, forse sarà il destino, forse chi ci ha creato ci presenta e ci invia dei continui segnali, segnali che devono essere adottati. Mi diceva Ze Dunetta: ‘chill po o Patatern te vo bene, sap ca tu suppuort tutt cos e to mamn semb a te.’ E Ze Palmina rispondeva con pragmatismo e fede: ‘Addò ‘o Signor chiud’ na porta, n’arap’ nu purton’ ch’è cchiù gross’ (Dove il Signore chiude una porta, ne apre un portone che è più grande) , E Ze Saveria completava, con un sussurro di profonda devozione, unendo i fili del destino e della speranza, come una poesia: ‘E ‘a vita s’arriccia cchiù bell’ e cchiù forte, comme nu ricam’ e stelle ca nun mor’ mai, vuless o ciel…’ In questi cambiamenti, ho ripreso quelle cose che ho sempre amato fin da bambino: scrivere, leggere, creare e soprattutto studiare. Ho sempre appuntato su biglietti volanti qualunque cosa mi sembrasse una citazione letterale e culturale, anche la più banale delle frasi, ma che teneva un suo significato, creando nei miei cassetti quaderni interi di riflessioni e pensieri scritti. Nella mia vita sono sempre stato attratto da qualunque storia o narrazione, soprattutto quando ci sono delle fonti distorte e varie interpretazioni dei fatti, e allora vado fino in fondo nella ricerca della verità. Spero che questa mia premessa non sia interpretata come presunzione, ma come una necessaria spiegazione della ritrovata passione che mi ha spinto a intraprendere questa ricerca. In vista dell’imminente festa di Sant’Andrea Apostolo, che ricorre domani, io, come sirignanese di oltre sette generazioni, dopo aver ultimato la trascrizione di questo lungo ed estenuante periodo di ricerca, lo rendo pubblico oggi, nel sacro giorno della Vigilia, un racconto che si eleva non a semplice cronaca, ma a leggenda fondativa, un documento sacro necessario per respingere la narrativa superficiale e le mitologie estranee che hanno alterato con leggerezza l’identità di Sirignano. Qui si rivela la verità di una comunità animata da una vigorosa e silente operosità, una fede profonda e un tessuto sociale ed economico di notevole distinzione. Dalle gesta di un clero colto, alle radici di alto lignaggio, LEGATE PERSINO A UN NOBILE NAPOLETANO E IL SUO MONZÙ, e al fiero sacrificio dei mannesi e delle donne lavoratrici, questa pagina è dedicata a celebrare e a rendere inattaccabile la dignità autentica della nostra storia, narrata non per sentito dire, ma per memoria devozionale. ​Questa pagina l’ho scritta per Sirignano e la dedico A Sant’ Andrea Apostolo nostro Santo Patrono e Protettore. ​La vita spirituale di Sirignano si fondava sulla serietà di Don Liberato Gallicchio (nato a Mugnano del Cardinale nel 1877, Parroco di Sirignano dal 1914 al 1960).

Don Liberato era noto per la sua figura austera e colta: si racconta che i bambini dell’epoca non dovessero fare chiasso sotto i tigli davanti alla chiesa di Sant’Andrea, poiché riteneva quel luogo sacro. Si dice che gli alberi di tigli furono piantati nell’800. In merito allo spazio antistante l’edificio sacro del ‘500, le due pietre scolpite in marmo, incise S.A.A. (Sant’Andrea Apostolo) e ancora esistenti alle estremità, attestano invece la proprietà del suolo di tale area da parte del clero. [Si narra che il Parroco Don Michelangelo Sgambati (1801) ne curasse personalmente l’impianto e il mantenimento dei tigli)]. La loro funzione era quella di dare frescura al luogo di culto, ma soprattutto per non fare sostare le persone, poiché lacrimano una sostanza appiccicosa, una melata (o resina vischiosa) molto difficile da togliere dai vestiti, garantendo e custodendo così il silenzio a chi dimora nel sacro tempio. Don Liberato motivava tale rigore e il necessario silenzio, spiegando che: “in chiesa c’era Gesù morto”. Accanto a lui, operava Don Francesco Fiordelisi (Professore e Sacerdote, Rettore del Collegio Pareggiato A. Manzoni, 1878-1958). La figura di Don Francesco, per rigore e abitudine, sembrava uscita dalle pagine del Manzoni: egli era il Don Abbondio di Sirignano per la sua rigorosa ritualità. Don Francesco, oltre ai suoi impegni all’educandato e a celebrare anche messa alla chiesa del Carmine del Cardinale, assisteva anche Don Liberato nel ministero parrocchiale a Sirignano. Rientrava a piedi nel tardo pomeriggio ancora assolato da Mugnano…

Il suo passo lento e cadenzato era scandito dalla lettura del breviario. Rientrava a Sirignano percorrendo la strada vecchia d’ingresso al Paese, che all’epoca era l’unica via d’accesso e d’ingresso a Sirignano (a parte le due scorciatoie dette Cuparelle, una che conduceva a Baiano, e l’altra al Cardinale, con la vicina via di collegamento con Quadrelle) in mezzo alle campagne. La prima casa che incontrava sulla destra di questa strada era quella dei Mariarunata. Il legame dei sacerdoti con il popolo di Sirignano era intimo… La sosta di Don Francesco a casa dei Mariarunata era un gesto di profonda familiarità e devozione. Era solito che Don Francesco si fermasse a casa dei Mariarunata durante il suo rientro per una sosta e per riposarsi, proprio in virtù del legame di parentela che intercorreva tra sua madre e Antonio Acierno “O Bersagliere”.

La Nonna, Maria Donata Mungiello (Mariarunata) (Nata a Pescopaganè 1882 – Morta nel 1968 a Sirignano ), era la stimata vedova di Antonio Acierno (nato presumibilmente 1878 – morto 1941), l’orgoglioso “O Bersagliere.” Nonno Antonio onorò il suo cappello piumato del 1° Battaglione La Marmora di Civitavecchia (e partecipò alle imprese belliche della guerra), ma morì prematuramente a Sirignano per polmonite acuta nel 1941, lasciando otto figli. ​Tra questi figli, ricordiamo in particolare: ​Rosa Acierno (1906), genitrice di mia nonna. ​Rosetta Colucci (1942), genitrice di mia madre. ​La sosta avveniva presso l’ingresso dei Mariarunata, dove il portone mezzo aperto della casa era alberato dalla vite dell’uva fragola che ricopriva l’ingresso, lasciando filtrare l’intenso profumo dei gelsomini dedicati e delle rose antiche galliche piantate sotto la finestra, un omaggio alla terra. Degna di nota, si ricorda che in quel portone negli anni 1980 si trovava lo studio del dottore Attilio Napolitano 1948 (già Sindaco di Sirignano, Urologo e Medico Condotto della comunità sirignanese), nipote della famiglia Mariarunata. All’interno, dopo il cortile, nel giardino in fondo, si raccontava che fiorissero anche la Stella Alpina (a richiamare le antiche origini abruzzesi dei Mungiello) e l’Asfodelo (la tenace pianta tipica della Basilicata), a sigillare un’identità montanara e inossidabile. L’ospitalità era sigillata dal Rosolio, emblema di decoro. ​Il prestigio della famiglia Mungiello era inattaccabile. Nonna Mariadonata (e i suoi fratelli Giovannbattista e Mariandonia) erano figli di Antonio Mungiello (nato presumibilmente 1850), un vaccaro di Pescopagano che si trasferì a Sirignano.

La famiglia, pur provenendo da un contesto lavorativo umile, aveva un legame illustre e vitale. ​Questo legame era Don Ferdinando Mungiello (nato presumibilmente tra il 1840 e il 1860), un parente della famiglia, originario di PESCOPAGANE’ ma con antichissime radici abruzzesi. Don Ferdinando e sua moglie Mariantonietta erano al servizio del Principe Giuseppe Caravita (Politico e Nobile di Corte, nato a Napoli nel 1849 e morto nel 1920) nel suo Grande Palazzo Sirignano alla Riviera di Chiaia a Napoli, godendo di una posizione di prestigio e grande influenza all’interno della cerchia del Principe. Questo grazie anche alla frequentazione di amici nobili di Caravita come Donna Emma De Risi e Don Riccardo Siciliano. ​La profonda influenza di Don Ferdinando e l’intercessione di Mariadonata portarono a una svolta cruciale per il fratello: Don Ferdinando sfruttò la sua posizione per far insediare il fratello di Mariadonata, Giovannbattista Mungiello (nato presumibilmente tra il 1870 e il 1880), come fattore della Grande e secolare Tenuta La Foresta situata nel Vesuviano, sotto al Monte Somma. ​La Grande Tenuta La Foresta: L’ingresso della Tenuta era maestoso e custodito da due grosse colonne in piperno e pietra del Vesuvio, sormontate da due grosse pigne di pietra somiglianti a due grossi carciofi. Si accedeva al maniero attraverso un imponente cancello in ferro battuto cesellato a mano con motivi floreali, oltre il quale si estendevano la corte e le stalle con le vacche. Ma il vero gioiello era la grande serra di vetro dove crescevano piante acquatiche, papiri e sterlizie in un profumo inebriante di fiori profumatissimi, tra i quali svolazzavano migliaia di farfalle. Tutta la tenuta era avvolta da un’aura di profonda spiritualità per la presenza costante delle monache Domenicane del Santuario di Madonna dell’Arco.

In questa serenità, tra statue e specchi d’acqua, le monache vi passeggiavano… solo perché c’era una monaca in famiglia, Suor Rosetta Mungiello (nipote di Giovannbattista). Suor Rosetta rifiutò la vita monastica tra le pareti preziose del Santuario di Madonna dell’Arco per darsi alla vita missionaria per i bisognosi. Scelse la strada missionaria in Perù, dove costruì scuole, ospedali e diede assistenza continua ai poveri fino alla morte. La sua dedizione fu riconosciuta: fu ricevuta da Sua Santità Giovanni Paolo II e conobbe in Perù il futuro Papa Leone XIII. Suor Rosetta ritornò a Madonna dell’Arco solo dopo la sua morte e cremazione, avvenuta in Perù, per riposare all’ombra del Vesuvio il 7 febbraio 2017. ​A Sirignano, l’abitazione dei Mariarunati era strategicamente all’ingresso del paese quando si veniva da Mugnano. Proprio questa posizione chiave permetteva alla famiglia di eccellere in diverse attività economiche e commerciali che dimostravano la prosperità di Sirignano. I figli di Mariadonata, Zio Felice (1912), Zio Pellegrino (1922) e Zio Carminuccio (1915), tenevano e gestivano l’Antico Laboratorio Artigianale di Salumeria, un vero e proprio salumificio dove la lavorazione dei salumi tipici del posto avveniva con arte: i salami erano fatti rigorosamente con carne di maiale fresca, macellata nel loro mattatoio, ed essiccati con il fumo di legno rigorosamente di ciliegio. In questa attività erano impiegate anche le donne della famiglia. Oggi, la casa dei Mariarunata, insieme a questo Laboratorio Artigianale, rimane chiusa, conservata come una preziosa capsula del tempo. La lavorazione cessò in quanto Ze Dunetta e Zio Felice non ebbero eredi. Mentre l’altro fratello, Zio Giovanni (1907) (sposato con Maria Napolitano, donna virtuosa e figlia del commerciante Ciccio e Cammill), era invece un commerciante (‘o sanzar), specializzato nel commercio di prodotti ortofrutticoli provenienti dalle campagne… Zio Giovanni era anche il proprietario del Sale e Tabacchi di Sirignano…

Una volta al mese, si recava con il suo carro (Sciaraball) trainato dalla cavalla Genuveffa a Napoli, al Monopolio, per il ritiro delle sigarette. Tutto il lato sinistro della strada che conduceva a Sirignano (la via Mugnanese), fino alla cappella della Madonna dell’Arco (sec. XVII) in Piazzetta Croce, era interamente campagna e non c’era nessun’altra costruzione, in quanto apparteneva al Notaio Aniello Colucci di Baiano. I figli di Mariadonata lavoravano questi vasti terreni per il Notaio e, in queste vasti proprietà, venivano anche allevate le vacche di famiglia che garantivano la produzione del latte fresco per la rivendita a Sirignano e nei paesi limitrofi, trasportato nei contenitori di latta dalle donne e nipoti della casa di Mariarunata Mungiello, in particolare le figlie Giuseppa (1910), Maria (1920), e Angelina (1925). Questa combinazione di agricoltura, zootecnia, commercio e artigianato prova che Sirignano era un paese vigorosamente laborioso. Tale laboriosità, prosperità e distinzione sociale ed economica è attestata in numerosi libri, documenti e registri fodiari dell’epoca. È necessario sfatare definitivamente ogni interpretazione volta a insinuare che la distribuzione dei pesci fosse legata a uno stato di indigenza o di assistenza del popolo sirignanese… La vita di Giovannbattista Mungiello, il fattore, si concluse tragicamente: mentre tornava a casa col suo calesse, fu vittima di un attentato e di uno sparo.

La leggenda, tramandata oralmente da sua nipote, ( Zia )Consiglia Mungiello con gli altri figli viventi ( figlia di Antonio Mungiello e della seconda moglie Maria, sposata in seconde nozze dopo la prematura morte di Annunziata), racconta che fu’ il suo fedele cavallo, nonostante il tragico evento, a ricondurre il corpo dell’uomo senza vita a casa, un simbolo di fedeltà assoluta…. Oggi, la tenuta ha dato spazio alla nuova globalizzazione, ma le colonne d’ingresso sono rimaste a testimoniare il suo glorioso passato. Don Francesco chiese a Nonna Mariadonata di intercedere presso il fratello, Giovannbattista Mungiello, il Fattore a La Foresta, che a sua volta coinvolse il parente Don Ferdinando Mungiello a Napoli. Fu proprio Don Ferdinando, grazie all’amicizia e all’interessamento logistico del Principe Giuseppe Caravita di Sirignano, a organizzare subito il rifornimento e la spedizione delle alici per la festa. Tuttavia, il gesto di fede e sacrificio fu dei due sacerdoti, Don Liberato Gallicchio e di Don Francesco Fiordelisi, che si fecero carico in toto di tutte le spese per l’acquisto, ma senza il trasporto, dando vita a questa tradizione centenaria. Fu proprio il fratello di Nonna Mariadonata, Giovambattista Mungiello (il fattore della Tenuta a Foresta), a guidare il traino pieno di “cuopp’ e alici fresche” fino a Sirignano, raggiungendo i locali del pianterreno della Chiesa di Sant’Andrea. In quelle stanze si diffondeva già il profumo di dolci appena sfornati, poiché i nipoti di Don Liberato, essendo pasticcieri, usavano i locali della Parrocchia come laboratorio per la preparazione dei dolci, che poi rivendevano al loro Cafè a Mugnano del Cardinale. Questi cuoppi di alici vennero donati a tutti i Sirignanesi per festeggiare Sant’Andrea il Pescatore, in un atto di pura devozione e abbondanza. Da questo gesto di grazia, la tradizione della festa è chiamata “Natale piccirill”.

Prima di celebrare l’eroismo dei mannesi e il rito del Fucarone, è doveroso rivolgere un sentito ringraziamento a chi in questi anni ha citato l’Amato Principe e ai cultori che, in varie interviste e ricostruzioni, hanno cercato di inserire la figura del Nostro Amato Principe Giuseppe Caravita in questa tradizione. Avevate ragione: la mano del Principe era in effetti presente in questo “miracolo delle Alici e Sarde,” avendo fornito, per rispetto del suo parente stimato, il supporto logistico fondamentale per l’arrivo del pesce , agendo non per carità, ma per onorare e mostrare grande stima per il suo fidato dipendente , il parente Don Ferdinando Mungiello . La Smentita sul “Maio Pagano”: Si rigetta categoricamente l’associazione della nostra venerazione per Sant’Andrea e l’atto del mannese di donare i tronchi, a qualsiasi forma di rito propiziatorio, di fertilità vegetale o di ascendenza pagana…

La tradizione sirignanese è un atto di devozione cristiana e di fede verso la croce decussata del Santo Patrono, un simbolo di fede inattaccabile. La tradizione è legata indissolubilmente ai nostri antenati: i lavoratori dei boschi, i famosi mannesi. I Sirignanesi erano così abili in questo mestiere da rendere il paese famoso in tutto il Mezzogiorno attraveso l’industria boschiva degli Acierno, il cui patriarca era il Commendatore Domenico Acierno (Don Duminico O capitan detto O BOSS, nato a Sirignano il 14/09/1874 e morto a Sirignano il 9/11/1963, già Podestà di Sirignano). Questi mannesi erano un popolo di grande ingegno e sapienza boschiva. Erano uomini che a mala pena sapevano apporre la loro firma e farsi i conti, ma per mantenere le loro famiglie numerose erano uomini di grande valori, di fede e sacrificio. La loro partenza avveniva in primavera e il rientro a novembre, quando le montagne si rivestono di neve e la terra va in letargo. Tutto questo culminava nell’atto di fede verso Sant’Andrea. Il Rito delle Asce: Prima di salire in montagna, i mannesi, nelle prime ore dell’alba, si radunavano davanti alla chiesa per la Santa Messa. Come mi raccontava mio nonno Michele (che era stato un mannese) in un potente atto di devozione, lasciavano le loro asce e accette appizzate (piantate) sulle basi dei tigli, chiamate localmente ‘Catozze’, i ferri del mestiere lì appuntati. Si narra che il Parroco di allora prima di concludere la Santa Messa usciva a benedire le asce e le accette, che sarebbero poi servite per il taglio dei tronchi degli alberi. Ancora oggi, chi si sofferma in Piazza Principessa Rosa può notare sulle ‘Catozze’ dei tigli secolari le cicatrici profonde provocate da questo antico rito.

L’ATTO VOTIVO: LA CROCE INCISA NEI TRONCHI -L’Atto Votivo: L’ultimo vero rito era l’azione di questi mannesi: abbattere i fusti calibrati delle piante con le asce o lo strungone tirato a mano, in un solenne atto votivo, e donare quei tronchi, i “pal'”, al Santo Patrono, in quanto i “pal'” (i due tronchi) rappresentano la croce decussata di Sant’Andrea (la croce a X). Di qui nasce il vecchio motto sirignanese, conosciuto solo da chi è di Sirignano da generazioni e ha avuto antenati mannesi: “L’AGG’ E’ MIS I’ E PAL’ ARRET’ A SANT’ ANDREA” Questo motto è citato soprattutto nell’ora in cui ti va male qualcosa o si ha un fallimento, chiamando in aiuto Sant’Andrea. L’Eroismo delle Donne: L’eroismo iniziale, poi, era quello delle donne: la Sarcena era il loro mestiere. Erano donne forti, donne con la loro fierezza e passo deciso, pesante. Diceva Zi Tummas e Ciccuzz (Tommaso Lippiello, 1931): “Eren femmene ca quann passavn Pe Sirignan SE DREMENDAV A TERR SOTT E PIER ‘”. Per Sant’Andrea, le donne (che si alzavano alle 3 di notte per questo mestiere) raccoglievano le frasche rimaste a terra ….per formare la Sarcena ( grande fascina di rami ) , che poi con Maestria ed equilibrio portavano l ‘ intero peso sulle loro teste , il loro sacrificio serviva a Donare al Santo Patrono l ‘ alimento necessario per alimentare il grande Fucarone della sera del 29 novembre (la vigilia). Il Fucarone: Il Fucarone, acceso la sera del 29 novembre (la vigilia), culminava solennemente la giornata di preparazione al Santo. Il rito del fuoco era un momento atteso, specie dagli innamorati. Sotto la brace venivano cotte le patate che si gustavano insieme al vino novello in festa, il tutto allietato a suon di musica, nacchere, triccabballacco, tammorre, putipù e fisarmoniche. A suggellare la serata era il Pizzic’Anto, un gioco giovanile che vedeva i ragazzi disposti in cerchio, spesso su anelli umani sovrapposti. Era un momento di dimostrazione di forza fisica e atletismo, e solo i giovani più capaci ne partecipavano, mentre cantavano un’antica filastrocca rituale che scandiva il ritmo del gioco e fungeva da monito, girando intorno al fuoco: “E NUI CA STAMM GOPP STAVT ACCORT ‘A VUO CA STATT SOTT’ SI CADIMMO, CADIMMO TUTT’ E ‘A CAPA ‘NTERRA CE ROMPIMMO!” Un gioco così intenso da lasciare il segno: si racconta che Mio Padre Carlo, partecipando con vigore, cadde e si ruppe il menisco e i legamenti del ginocchio, un segno indelebile di questa tradizione che si portò per tutta la vita. La prova materiale e inattaccabile della fede si manifesta nel Reliquiario d’Argento cesellato, donato nel 1899 dagli emigranti sirignanesi in America. Questo oggetto sacro sintetizza la nostra intera storia: raffigura i due tronchi del martirio (e del sacrificio dei mannesi) e presenta le due sarde in argento che zampillano l’acqua Santa, poste davanti alla preziosa urna-teca che custodisce le sacre ossa del Santo Pescatore. Questa urna, di forma ovale e finemente cesellata in argento, ornata di pietre preziose, viene prelevata con solennità. Sono proprio queste sarde che richiamano il miracolo delle alici, dando il nome al nostro racconto : ” O miracul re sard e Argient do Sant Piscatorre “. Il Reliquiario viene custodito e esposto alla venerazione dei fedeli in tre solenni occasioni durante l’anno: 30 novembre, 8 febbraio, l’ultima domenica di Agosto. Dopo la solenne processione in queste date, il Parroco compie un gesto antichissimo: preleva l’urna-teca, lasciando il corpo principale del reliquiario (con la croce decussata e le sarde). Si posiziona ai piedi dell’altare maggiore e, con profonda devozione, offre il reliquiario contenente le sacre ossa al popolo in fila per il tradizionale bacio. Questo atto rispecchia la secolare tradizione napoletana del bacio del Reliquiario di San Gennaro, un momento di intensa e diretta comunione tra il Santo Pescatore e i suoi fedeli sirignanesi. Concludendo questo racconto di dignità, è inevitabile compiere un atto di profonda riflessione morale sulla nostra fede. Oggi… i Sirignanesi si radunano in massa sui monti per celebrare la festa dei tronchi d’albero (Sui Monti: L’Idolo d’Oro della Festa)… Purtroppo, a valle, nel giorno solenne di Sant’Andrea, non c’è quasi nessuno disposto a portare la statua a spalla (A Valle: L’Abbandono della Fede)… Per questo, faccio un appello personale alle meravigliose donne di Sirignano, discendenti di quelle donne lavoratrici dell’epoca e custodi di un sacrificio plurisecolare.

Questo gesto sarebbe un eco devozionale al coraggio mostrato, come ci ricordavano, tramandandoci il racconto dai loro genitori, le allora bambine: ZE PIPPINELLA A BARDACCHINA (1904) (Mamma e nonna ricca di amore), e ZE NANNINA A BATTAGLIONA (1900), figura di donna di umili e devoti sentimenti, mamma amorevole e fiera della sua famiglia (Mamma del Sindaco Antonio Colucci [1956-] e Nonna dell’Ex Sindaco Raffaele Colucci). Furono proprio le Donne, in segno devozionale e per voto, che portarono Sant’Andrea a spalla in processione l’8 di febbraio del 1903, quando Sirignano e buona parte dei nostri Territori furono colpiti da una terribile epidemia di vaiolo che causò la morte di tante persone e di tanti giovani. Vi chiedo di formare delle squadre per “cullare” Sant’Andrea Apostolo ( portare la statua a spalla ) , visto che non c’è più nessuno a farlo… È indecoroso vedere che si preferisce mettere il nostro Santo Patrono Sant Andrea …su un freddo furgoncino . Chi sa’ che cosa direbbero I nostri antenati che hanno già raggiunto la terra promessa , vedendo la loro FEDE trattata così. La tradizione Sirignanese è un atto di profonda FEDE e devozione cristiana verso la croce decussata del Santo Patrono… Si ricorda ai media e ai posteri che , ai fini di una corretta ricostruzione storica ( collocata tra il 1914 e gli anni cruciali della Grande Guerra), L’attività dei Mannesi è riconducibile alla specifica industria boschiva di alto profilo, gestita da lignaggi illustri come quello del Commendatore Domenico Acierno (Don Duminico O capitan detto O BOSS ). La verità è nello splendore dell’Argento Vivo e delle Pietre Preziose, la prova finale che illumina Sirignano e il suo decoro, richiamando le sue montagne con i mannesi. Il suo splendore abbaglia e spazza via ogni leggenda estranea che ne vuole offuscare il vero splendore. ​«Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto.» «Non dimenticate la tradizione degli antichi, poiché essi hanno dato tutto ciò che avevano.»

​Buon Natale Piccirill a tutti voi!

(Michele Acierno)