2 Agosto: L’Eterna Fiamma dell’Ingegno. Carmine Salvatore Napolitano (Ninuccio il Tornitore) l’Artigiano che Vive nella Memoria. *

2 Agosto: LEterna Fiamma dellIngegno. Carmine Salvatore Napolitano (Ninuccio il Tornitore) lArtigiano che Vive nella Memoria. *

Ci sono pensieri che non svaniscono, parole destinate a trovare la luce, anche se il tempo le custodisce per un po’. Questo articolo è nato diverso tempo fa, scritto in origine come un’orazione per un momento di addio, per il funerale di un uomo straordinario, un vero visionario nel suo campo. All’epoca, però, a causa di problemi organizzativi legati alle mie difficoltà di deambulazione (che rendevano complicato lo spostamento di microfoni e attrezzature), e poiché non c’era nemmeno il caro Don Fiorelmo in Chiesa a poter risolvere la situazione, non fu possibile leggerlo. Quei fogli “imbrattati” d’inchiostro rimasero così piegati nella mia tasca, custoditi, ma mai dimenticati. L’altro ieri, nel riordinare un cassetto della scrivania, li ho ritrovati, e mi è dispiaciuto enormemente lasciarli ancora celati.
E così, con rinnovato slancio e la consapevolezza del tempo trascorso , ho deciso di dare finalmente voce a questo tributo, scegliendo un giorno per me doppiamente speciale. Il 2 agosto non è una data qualunque; non è un semplice segno sul calendario, ma una costellazione di memorie, un crocevia di vite che si incontrano nel segno della nascita. Oggi celebriamo non solo il mio compleanno, ma anche quello di mio Padre Carlo e di mio suocero Carmine Napolitano, detto Ninuccio il Tornitore, una figura monumentale, colui che ho avuto l’onore di avere come Padre della mia amata Lina. In questo giorno di festa condivisa, la mente non può che volgersi a chi, con le sue mani e il suo ingegno, ha incarnato l’essenza stessa dell’arte del fare, in un’epoca che troppo spesso dimentica il valore intrinseco della maestria. Se il 10 giugno, con la sua evocazione dell’artigianato, e poi il 19 marzo, con la festa di San Giuseppe Lavoratore – figura archetipa di dignità e fatica, elevata da un Pontefice illuminato nel lontano 1955 – sembrano quasi un prologo, il 2 agosto è la celebrazione vibrante di un’esistenza che merita di essere scolpita nel cuore della memoria.
Sono stato un Commerciante benvoluto e un lungimirante collaboratore aziendale, sono Michele Acierno, colui che ha avuto la fortuna di sposare Lina Napolitano, la prima figlia di Carmine, e Padre di Carlo, l’adorato nipote di Ninuccio. La mia natura taciturna e riflessiva mi ha sempre condotto all’osservazione attenta più che alla parola. Ho appreso che la vera essenza di un individuo non si cela nelle parole effimere, ma si rivela nella costanza dei gesti, nel ritmo impercettibile delle azioni quotidiane. E così, la vita di Carmine, il padre di Lina, mi si è dispiegata dinanzi, non come un mero racconto, ma come un affresco vibrante, un palcoscenico su cui la grandezza si è consumata, eppure, sorprendentemente, ha continuato a risplendere sotto i miei occhi attenti. La scrittura è il mio rifugio, il laboratorio alchemico dove la fantasia prende forma, dove frammenti di pensiero e versi solitari danzano liberi. C’è chi ha definito la mia prosa “divina”, chi ha applaudito i miei discorsi improvvisati. E chissà, forse un giorno, questo sogno recondito – quello di un libro capace di scuotere le anime – mi frutterà ben più di un semplice consenso, dimostrando che l’ingegno autentico e la passione possono ancora trionfare, senza la necessità di sfruttare l’occasione.
Carmine, il padre di Lina, era un uomo dalla mentalità di respiro autenticamente internazionale, forgiata da viaggi , che lo avevano portato a scrutare le capitali d’Europa e persino la misteriosa Thailandia. Nella sua natìa Baiano, era ben più di un semplice cittadino; era un’istituzione, un faro la cui saggezza si era cementata anche nel crogiolo di un dolore profondo: la prematura scomparsa di suo fratello Ciccio, un giovane brillante e universitario prossimo alla laurea in ingegneria, e la successiva poi morte del Padre Andrea lo avevano plasmato, infondendogli una resilienza indomita che lo accompagnò per tutta la vita. Non era un mero artigiano, ma un raffinato intenditore di vini, quasi un sommelier ante litteram, in cui scorreva il sangue di un’antica e nobile tradizione familiare. A Baiano nei confini territoriali, i suoi nonni paterni avevano gestito “A cantina ‘e ze Mariuccia Biancardi”, una locanda che era un vero e proprio albergo, con cucine, camere e stalle per i cavalli pronte ad accogliere i viandanti che percorrevano l’antica Strada Regia del regno di Napoli che andava in Puglia. Alla loro scomparsa, la “cantina” e l’intraprendente commercio del vino, passarono ai suoi genitori, Pasqualina Centrella e Andrea Napolitano , aprendo cosi un nuovo scenario nel mondo del commercio e dello sviluppo , investendo con intelligenza anche nel settore dei trasporti con automezzi propri , per far viaggiare le merci. Le sue radici materne, invece, affondavano profondamente nella terra di Tufo, in provincia di Avellino , dove la madre Pasqualina possedeva i vigneti da cui nasceva il celebre Greco di Tufo. E non solo il lavoro definiva Carmine: era un eclettico sportivo, abbracciava la vita in ogni sua forma – calciatore, tennista, nuotatore, praticante di judo, audace motociclista, la passione per I motori e le macchine da corsa, sciatore elegante. Un uomo che sapeva abitare il mondo in ogni sua sfumatura, intessendo una fitta rete di relazioni con l’élite professionale – professori, avvocati, medici, ingegneri, Farmacisti e commercialisti – frutto di un’ampia cerchia di amicizie e di viaggi che ne avevano segnato la giovinezza.
Sebbene il suo percorso formale si fosse limitato a un diploma professionale da tornitore, Carmine, l’ingegnoso artigiano, era, nella sostanza, un ingegnere autodidatta, un vero e proprio pioniere. Non si limitava a eseguire istruzioni; egli progettava e realizzava macchinari complessi per le industrie conserviere di frutta, un autentico “meccanico frutta” dotato di un’officina all’avanguardia, completa di operai qualificati e un vastissimo magazzino di ricambi e motori. Le sue invenzioni – dalle macchine per la lavorazione di ciliegie e mandorle a quelle per la produzione di confetti, e per il cioccolato, ai sistemi per la raccolta delle nocciole, commercializzati persino in Cina e Giappone – erano il frutto di brevetti unici e di una sophia pratica, una saggezza del fare, ineguagliabile. Prima di intraprendere la sua avventura imprenditoriale, Carmine aveva forgiato il suo carattere e la sua coscienza sociale lavorando nel settore automobilistico per un periodo della sua giovinezza in Germania e poi successivamente allo stabilimento Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco, dove si era distinto come sindacalista, battendosi con ardore e lucidità per i diritti dei lavoratori. Un uomo, dunque, non solo di genio tecnico, ma di profonda integrità morale e di un’incrollabile fede nella dignità del lavoro umano.
Eppure, oggi, di questo titanico impegno, di questo inestimabile sapere artigianale accumulato in una vita intera, di questa audace visione imprenditoriale, non resta assolutamente nulla. L’officina, i macchinari, i progetti, i brevetti: un intero universo di creazione, innovazione e fatica si è dissolto nel silenzio. È un monito amaro, una cesura che denuncia non solo la fine di un’attività, ma la tragica evaporazione di un’intelligenza. Troppo spesso, e questo è il punto dolente, nessuno ha avuto la lungimiranza, la capacità o forse il semplice interesse di raccogliere quel testimone. Va però precisato che i suoi figli, pur ammirando profondamente il padre, hanno intrapreso percorsi professionali diversi e consolidati, diventando essi stessi professionisti affermati in altri settori, e per questo non hanno potuto continuare direttamente la sua opera. Un vuoto che si apre in un’epoca che, illudendosi di progredire, dimostra una miopia sconcertante nel preservare e valorizzare il sapere artigianale, destinato a perire inesorabilmente con il suo ultimo detentore.
Come padre poi , di cinque figli, Carmine ha saputo intessere legami profondi, guadagnandosi un amore incondizionato. La sua esperienza di perdita, avendo affrontato la solitudine dopo la scomparsa del fratello e del Padre , lo aveva reso una figura paterna ancor più presente, una roccia incrollabile per i suoi cari. E come nonno, la sua capacità di farsi voler bene era disarmante, un legame puro e speciale, come solo quello tra nonni e nipoti sa essere. Carmine Salvatore Napolitano, il nostro Ninuccio, è stato un uomo la cui esistenza, pur conclusa in questo piano terreno, risuona ancora con forza e vitalità nelle memorie familiari. Un esempio di ingegno ineguagliabile, di resilienza incrollabile e di un amore incondizionato per i suoi cari e per il suo lavoro.
In questo 2 agosto, giorno che ci lega attraverso il filo invisibile delle nascite, celebriamo la sua eterna fiamma dell’ingegno, la sua anima del fare che, sebbene non più visibile nelle opere concrete, continua a vivere e a risplendere nella memoria di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e amarlo. E mentre la sua eredità materiale è svanita, lasciando dietro di sé il silenzio assordante di un potenziale non raccolto, resta la speranza che la mia fantasia di scrittore possa un giorno emergere con la forza di un’onda. Chissà, magari un libro, intessuto con la stessa passione con cui ho osservato la sua vita e riflettuto sulla sua scomparsa, potrà un giorno ribaltare le sorti e dimostrare che il vero valore, quello che troppo spesso il mondo ignora o non sa preservare, può ancora emergere e, con un pizzico di fortuna e determinazione, trovare la sua meritata ricompensa, ben oltre la fugace e spesso volgare “occasione” che molti inseguono invano.

” E all’improvviso sento il vento che mi accarezza il viso, sei tu papà.”

Michele