IL PASSERO SOLITARIO – LA POETICA DI LEOPARDI

IL PASSERO SOLITARIO   LA POETICA DI LEOPARDI

“Il passero solitario” fu composto da Leopardi molto probabilmente a partire dal 1831. In questo componimento il poeta opera, essenzialmente, un parallelo tra la sua solitudine ed esclusione esistenziale e quella di un passero: il riferimento a quest’animale non è affatto casuale; infatti esso, proprio come il poeta, preferisce, anzi ama trascorre la sua vita da solo, lontano dai suoi simili. Inoltre, ad essere una tematica centrale della poesia è il motivo del rimpianto (elemento tipico dell’intera produzione leopardiana) di non godere della gioventù che fugge ad un ritmo incessante. Sostanzialmente, nonostante la situazione di Leopardi e quella del passero possono sembrare apparentemente identiche, in realtà essi andranno incontro ad un destino assai differente: il passero, quando sarà arrivato alla fine della sua vita, morirà senza rimpianti perché per lui la solitudine è una condizione assolutamente naturale; per il poeta, invece, quando la giovinezza sarà irrimediabilmente finita, potrà solo ed esclusivamente rimpiangere ciò che non ha fatto e pentirsi di come ha vissuto.

La lirica esprime, quindi, il senso di angoscia e di disperazione che prende il poeta quando, scoprendosi solo, sente tutta la testa la tristezza del suo vivere chiuso in se stesso. La poesia è suddivisa in tre strofe: la prima strofa (vv.1-16) ci mostra un paesaggio primaverile vago e armonioso. Da questo quadro felice, in cui tutti gli esseri viventi condividono pienamente la gioia per il ritorno della primavera, emerge il contrasto con il passero solitario che 33 “pensoso in disparte il tutto mira“ (v. 12, tra l’altro da notare la scelta dell’aggettivo “pensoso”, più adatto ad un essere umano, quale il poeta, che non a un volatile) e non partecipa a quest’atmosfera di rinnovamento, ma canta “finché non muore il giorno“ (v. 3).

Il poeta, nella descrizione, usa termini e immagini tipici della poetica dell’indefinito come al v. 1 (“torre antica”) dove l’aggettivo crea un effetto di lontananza spazio-temporale e al v. 2-3 che crea un senso di estrema vastità del paesaggio.

Nella seconda strofa (vv. 17-44) si realizza, invece, il parallelismo (di cui si è parlato in precedenza) tra la vita solitaria del passero e del poeta, da cui scaturisce la consapevolezza da parte del poeta nel suo senso di isolamento e di emarginazione, a cui lui non è in grado di dare una spiegazione (v. 22: “io non so come“) e diventano il suo personale destino, soprattutto nel momento in cui lo stesso Leopardi si mette a confronto con gli altri giovani che si preparano a festeggiare l’arrivo della primavera (vv. 32-33 “La gioventù del loco” ecc.), preparandosi ad un futuro di rimpianti come lui stesso afferma (vv. 38-39).

La terza ed ultima strofa, infine (vv. 45-49) è incentrata maggiormente sul confronto tra il passero ed il poeta (vv. 46-49): la vecchiaia è vista come una sorta di

detestata soglia, che si cerca di evitare; “il dì presente più noioso e tetro”, soffocando, allo stesso tempo, qualsiasi tipologia di passione.

Per quanto riguarda le figure le figure retoriche, infine, è assidua la presenza di: allitterazioni (v. 2-3, 45, 9-10, 31, 45, 8, 24, 35, 30, 20, 58-59, 29, 12-15), anafore (v. 56-57), onomatopee (v. 31- “rimbomba”), chiasmi (v. 6 e 8), metafore (v. 3, 16, 45-46, 50-51), metonimia (v. 33), anastrofi  (v. 16, 26, 48, 50-51), anafore (v. 23-24, 29-30), apostrofi (v. 2, 20, 45) enjambements (v. 1-2, 5-6, 15-16, 17-18, 36-37, 38-39, 39-40, 48-49, 50-51, 51-52).

Sebastiano Gaglione