IL GENIO DI OLIVETTI – LA MANCATA APPLE DEI GIORNI NOSTRI

IL GENIO DI OLIVETTI    LA MANCATA APPLE DEI GIORNI NOSTRI

di Sebastiano Gaglione

Come spesso accade nella vita, ci sono cose che sarebbero potute essere, ma che non sono state. Fatta questa premessa intrinseca di significato, è ora di addentrarci nella storia dell’utopia di Adriano Olivetti e della sua azienda.

 

LE ORIGINI IN BREVE

La Olivetti fu fondata nel 1908 a Ivrea da Camillo Olivetti, padre di Adriano.

Determinato e sognatore: Camillo Olivetti fu uno dei più grandi imprenditori italiani del XX secolo.

Agli albori dell’azienda, il primo vero e proprio successo di Camillo fu la Olivetti M1, che si affermò sul mercato come la macchina da scrivere più veloce del mondo, grazie al suo distintivo tocco a pressione, che rendeva il pigiare dei tasti molto più agevole rispetto ai suoi competitori. Complice l’enorme successo riscontrato, nel 1920 uscì il suo diretto successore, la M20, che in un decennio circa dal suo lancio fu venduta in oltre 900 mila esemplari.

Un’impennata di introiti che portò ben presto Olivetti ad estendere gli spazi di lavorazione, ampliandosi e sviluppandosi sempre più.

Tuttavia, la mentalità  di Adriano era troppo avanti con i tempi, in forte contrasto con l’arretratezza di pensiero della classe politica del nostro Paese.

 

IL VIAGGIO NEGLI USA

Nel 1924, Adriano compì un viaggio negli Stati Uniti per studiare da vicino il modello industriale americano.

In territorio statunitense, il giovane Adriano scoprì il sogno americano di Henry Ford, da cui apprese una lezione importante in merito all’efficenza dell’azienda: a paghe orarie più alte corrispondevano a tempi di lavoro ridotti.

 

L’ INCREMENTO PRODUTTIVO

Negli anni venti, infatti, il livello produttivo della Olivetti era abbastanza scarso e dunque Adriano decise di riorganizzare il modo d’intendere il lavoro, arrivando a raddoppiare la produttività della propria azienda. Ancor prima di diventare presidente, durante il periodo postumo alla sua laurea in ingegneria, Adriano lavorò come operaio e dunque conosceva perfettamente il mondo e le vicissitudini della classe in questione.

Col tempo, il figlio di Camillo, decise di catapultare la sua azienda nel mondo delle calcolatrici, macchine assai più complesse rispetto a quelle da scrivere.

La Divisumma fu una delle prime macchine prodotte dal nuovo corso intrapreso dall’azienda di Ivrea.

 

DALLA PARTE DELLA CLASSE OPERAIA

Per rendere dunque il posto di lavoro più accogliente e confortevole per la classe operaia, Adriano si affidò a due dei più grandi architetti italiani del tempo, Figini e Pollini, i quali furono incaricati di ampliare il complesso di uffici e di trasformare in realtà il folle progetto del villaggio in Olivetti: uno spazio che doveva garantire al lavoratore alloggio e mensa, in quanto stimolare la loro realizzazione personale, giocava un ruolo centrale nell’agevolazione del lavoro, rendendo la fabbrica un posto piacevole, anche perché era in essa che si svolgeva la maggior parte della quotidianità dell’operaio stesso.

 

LE ANTIPATIE DELLA CONCORRENZA

Olivetti infastidiva tutte le altre aziende, che invece volevano spremere l’operaio il più possibile. Adriano si schierò dalla parte della classe operaia anche introducendo salari più elevati rispetto al passato e, soprattutto, rispetto alle altre aziende italiane, come la Fiat, il che contribuì ad attirare a sé numerose antipatie.

 

Nel 1948 la Olivetti iniziò ad investire i propri fondi in nuovi modelli e visto il notevole incremento produttivo su cui poteva contare, rilasciava un nuovo modello ogni 8 mesi circa, tanto’è che, appena due anni dopo, uscì uno dei prodotti  Olivetti di maggior successo, la Lettera 22.

 

DA NAZIONALE A MULTINAZIONALE

In seguito, Olivetti decise di espandersi anche all’estero, aumentando le esportazioni nei primi anni cinquanta; non ci volle molto affinché l’azienda diventasse una delle prima in Europa per numero di dipendenti e fatturato.

A tal proposito, nel 1958 la produzione Olivetti arrivò a rappresentare il 10% degli esporti mondiali.

Da una semplice azienda nazionale, grazie alle mire espansionistiche di Adriano,  l’Olivetti stava diventando una multinazionale.

Visto il notevole successo riscontrato sia in Canada che negli USA, ben presto Olivetti attirò l’attenzione di IBM e della Underwood. Con quest’ultima che fu inglobata, sancendo la definitiva nascita della Olivetti Corporation of America.

 

 

 

 

UN COLLABORATORE GENIALE

Adriano capì sin da subito che il futuro stava andando a parare nell’elettronica e quindi decise di fondare un laboratorio informatico tutto suo e che nel giro di poco tempo diventò uno dei più importanti d’Europa.

Olivetti aveva anche una certa abilità nel trovare le persone giuste al momento giusto; una di queste fu l’ingegnere e informatico italiano di origini cinesi, Mario Tchou, dalla cui collaborazione nacque la Elea 9001. Il 1958, invece, vide l’uscita sul mercato della Elea 9003, che infastidì non poco la concorrenza.

Per Olivetti lo slogan era: “da noi il futuro è già incominciato”.

 

LO SVANTAGGIO DELL’ESSER NATA IN ITALIA

Tuttavia, a differenza delle altri grandi major, Olivetti partiva in grande svantaggio a causa della mancanza di fondi economici da parte dello Stato, a differenza degli USA, invece, che investivano molto nel progresso.

 

FINO ALLA LUNA

Nel 1959 nacque il P101: il primo computer da scrivania al mondo, adottato persino alla Nasa per il progetto Apollo.

 

LE MORTI SOSPETTE DI ADRIANO OLIVETTI E MARIO TCHOU

Nel 1960 Adriano Olivetti morì ufficialmente a causa di un’emorragia celebrale, durante un viaggio in treno e appena l’anno successivo, nel 1961 toccò la stessa sorte al suo smetto e geniale collaboratore, Mario Tchou (il quale, in quel periodo, stava lavorando ad un nuovo calcolatore), dichiarato morto in un’incidente d’auto le cui indagini terminarono ben presto e si conclusero in un nulla di fatto.

 

Qualche anno più tardi, furono resi pubblici dei documenti top-secret in cui si poteva evincere che la CIA stava seguendo la figura di Adriano Olivetti da circa un ventennio; probabilmente, lo stato americano si sentì in un certo qual modo minacciato dai forti rapporti che l’azienda stava stipulando con i sovietici ed i cinesi.

 

L’OCCASIONE PERSA CON APPLE

Negli anni sessanta, in seguito alla morte di Adriano, la Olivetti stava vivendo alcuni problemi finanziari e dunque fu oggetto di un nuovo assetto societario, con l’entrata di uomini esterni alla famiglia Olivetti; così, nel 1978 Carlo De Benedetti entrò nell’azienda italiana come azionista di riferimento, divenendone presidente.

Nel frattempo, oltre oceano, un giovane Steve Jobs aveva fondato la Apple insieme a Steve Wozniak e Ronald Wayne ed i tre erano alla ricerca esasperata di nuovi investitori. Così avanzarono la propria proposta a De Benedetti, chiedendo di investire 200 mila dollari in cambio del 20% delle quote di Apple, ma a causa della situazione, l’offerta fu rispedita al mittente.

Un’altra grande occasione persa per Olivetti, visto il valore attuale dell’azienda di Cupertino, che è una delle più grandi al mondo.

 LA FINE DELLA GRANDE OLIVETTI

Senza il padre, Roberto Olivetti fu costretto a far entrare il gruppo d’intervento Fiat, che riservava da sempre ostilità nei confronti della Olivetti.

I nuovi investitori decisero di chiudere la divisone elettronica, considerata troppo utopica e futuristica, cedendo il 75% all’americana General Electric, che avrebbe smantellato Olivetti; com’è possibile intuire, con ogni probabilità si trattò di una sorta di svendita tra connazionali a un competitor straniero, perchè la crescita esponenziale della Olivetti iniziava a fare davvero troppa paura ai rivali.

CONSIDERAZIONI FINALI

Probabilmente non saremo mai a conoscenza della verità, ma cosa sarebbe potuta essere l’Olivetti e con essa, l’Italia oggi?

All’Italia di oggi mancano visionari come Adriano Olivetti.

Tuttavia, la sua storia insegna anche che, a volte, la sola genialità non basta ma, c’è bisogno anche della fortuna di capitare nel posto giusto, al momento giusto. Facciamoci due domande se si sente parlare spesso di sogno americano e non di “sogno italiano”: il nostro Bel Paese, a causa dei suoi rappresentati, è da sempre uno stato arretrato sotto molti aspetti e, nonostante gli anni passati, la situazione non è di certo cambiata.

Viene da pensare che, molto probabilmente, anche la stessa Apple, non avrebbe avuto la stessa fortuna se fosse nata qui.