’O Putecar’ ’e Sirignano Fede, lavoro e memoria sotto lo sguardo di San Feliciano Martire

’O Putecar’ ’e Sirignano Fede, lavoro e memoria sotto lo sguardo di San Feliciano Martire

Queste pagine non sono solo una ricostruzione storica, ma un atto d’amore verso le nostre radici. Attraverso documenti d’archivio, ricordi personali e testimonianze di famiglia, ho voluto riannodare il filo che lega la fede del nostro popolo al sudore del lavoro quotidiano. È un viaggio che attraversa i secoli, dai decreti reali e le botteghe dell’Ottocento fino alle attività operose del Novecento, sotto lo sguardo attento di San Feliciano Martire, protettore di chi, con onestà e sacrificio, ha costruito l’identità di Sirignano. Dedico questo racconto a chi non vuole dimenticare, affinché i nomi dei nostri padri continuino a vivere nella memoria collettiva.

​’O PUTECAR’ ‘E SIRIGNAN’
​‘A FACCIA ANGELIC’ ‘E SAN FELICIANO MARTIRE

​Questa narrazione nasce da un dovere di memoria. Come figlio e nipote di commercianti, sento il bisogno di condividere l’intima tradizione che legava i bottegai di Sirignano al Busto Reliquiario di San Feliciano Martire. Scrivo con il cuore in mano, perché la memoria ci abbraccia e ci ricorda chi siamo veramente. Proprio nel locale che un tempo era il deposito di Giocattoli di mio nonno Andrea (nato nel 1859), i miei genitori aprirono la loro grande salumeria nel mese di dicembre del 1961. Porto nel sangue il valore del sacrificio e della parola data, ripensando ai racconti dello storico quartiere di Gopp’ Capulasal (Via Marconi), dove la fede e il commercio sono documentati da secoli.
​Sappiamo da fonti storiche che il legame tra il paese e il Santo era già solidissimo sotto la guida di Don Salvatore Napolitano, nominato Parroco di Sirignano con Regio Decreto del 3 novembre 1863, firmato da Sua Maestà Vittorio Emanuele II di Savoia.
​COME RIPORTATO FEDELMENTE A PAGINA 9 DEL TESTO STORICO:
​”Nella parrocchia, in verità, erano in uso anche le festività del Corpus Domini, di santa Maria delle Grazie, del Santissimo Rosario, dell’Immacolata, di San Giuseppe, di Sant’Antonio, di San Feliciano e di Santa Filomena, grazie alle offerte ricavate dal panegirico ma, soprattutto, alla questua dei MAESTRI DI FESTA (OECONOMI FABRICAE) che durava tutto l’anno.”
​La vita spirituale della comunità è stata poi segnata dalla figura di Don Liberato Gallicchio, parroco dal 1914 al 1960, che con il suo rigore ricordava sempre il sacro rispetto dovuto al luogo di culto.
​Il Busto di San Feliciano è un capolavoro della scuola di Giacomo Colombo, scultore, pittore e marmoraro di immenso prestigio, nato a Este ma divenuto uno dei massimi esponenti dell’arte barocca a Napoli tra il 1600 e il 1700. Celebre per la sua capacità di infondere un realismo quasi divino e una dolcezza sovrumana ai volti, il Colombo ha lasciato un’impronta indelebile nella scultura sacra campana. Il nostro Santo, prima del sapiente restauro operato dal maestro Alessandro Colucci, si presentava interamente vestito di verde, un colore scelto non a caso ma come simbolo profondo di speranza per le sorti del commercio e della terra. Oggi, dopo il restauro, risplende di un rosso solenne arricchito da preziose scaglie d’argento. Il Santo, quando usciva in processione, indossava una stola di rara bellezza e portava tra le mani la palma del martirio e il bilancino, antico simbolo di peso e misura, caro alla dignità dei commercianti. È una devozione che ci collega anche a Montefalcione, dove si narra sia custodito il corpo del Santo.
​Ancora oggi porto nel cuore i miei ricordi di bambino, quando mio padre mi accompagnava in chiesa per farmi ammirare la statua; restavo affascinato e quasi rapito davanti a quel busto, osservando con timore reverenziale il reliquiario che custodiva le Sante Ossa del Martire. L’impronta del Colombo si manifesta con eguale splendore anche nella Madonna delle Grazie di Sirignano. A differenza di altre iconografie vicine, come quella di Mugnano (dove la Vergine è rappresentata seduta) o quella di Avella, la nostra Madonna possiede una struttura mastodontica e solenne, apparendo quasi “all’impiedi” mentre emerge trionfante dalle nubi. Il suo volto emana una dolcezza infinita e il Divin Bambino, con i suoi riccioli dorati, tiene la mano aperta con le tre dita benedicenti, simbolo della Santissima Trinità e sigillo di protezione sul nostro popolo.
​Il momento più solenne era l’uscita del Santo. San Feliciano varcava la soglia della chiesa accompagnato dal ritmo ancestrale dei tammurrari, proprio in punta a mezzogiorno. Era l’ora in cui il sole abbaglia nello splendore le montagne e Sirignano, ma era soprattutto l’ora scelta per onorare il lavoro: il mezzogiorno è l’orario di punta per i commercianti, il momento in cui le botteghe pullulano di persone. Il Santo usciva allora per immergersi tra la sua gente, passando per le strade per benedire quel fermento di vita. Questi dettagli della processione mi sono stati tramandati dai “vecchi” di Sirignano, i custodi della memoria orale, ma ogni passaggio trova conferma in una ricostruzione storica fondata su importanti documenti che provano come questa realtà sia esistita e abbia pulsato nelle nostre strade.
​In questo cammino ricordiamo l’anima musicale di Pintaguro: di fronte alla Chiesa, il negozio di Vincenzo ’e Pintaguro, dove si vendevano corde per violini e chitarre. Un segno di una Sirignano antica dove gli anziani, nonostante il duro lavoro quotidiano, sapevano far suonare l’anima attraverso uno strumento. Fin dal 1884, il centro pullulava di attività: i negozianti di legname Nicola Barbati di Andrea, Pietro e Francesco Fiordelisi di Feliciano; i sarti Salvatore Cuomo e Angelo Lippiello; le beccherie di Pasquale Masucci e Antonio Magnotti. C’erano i venditori di vino Giuseppe Miele e Giovanni De Lucia, e Francesco Napolitano che gestiva anche i tabacchi.
​Salendo verso Gopp’ Capulasal, il Santo benediva il deposito di mio nonno Andrea (Zi Drea O Subbruttaro ) , Venditore ambulante di giocattoli e di sorbetti a Limone e Spumoni . Alfonso buccieri , Michele lippiello , Andrea Acierno e Davide Lippiello risuolavano scarpe e producevano zoccoli di legno , e poi c ‘era la bottega di Filician’ o’ Barbaciano, Padre di Giuseppa Amodeo (1926 – 2011 Donna e Madre ma soprattutto Nonna esemplare , Commara di mia Madre ). Qui operavano gli Spurtullari, maestri delle ceste, e i bravi falegnami come Giovanni Antonio Barbati , mentre in Via Croce Croce ( oggi via Roma ) Daniele Francesco De Lucia (Masta Ciccio). Nella stessa strada splendeva il Cafè di Nonna Utilia ‘a Cuntessa ( Mamma di mio Nonno ) , e la Trattoria di Donna Petronilla De Lucia .

Nel ‘900, di fronte, sorse la Farmacia del Dott. Michele Acierno (Sindaco), uomo di straordinaria professionalità e umanità. La sua Famiglia era rappresentata dal Commendatore Domenico Acierno (1874 /1963 ) Industriale Boschivo Della Sirignano Dei Mannesi , ( Maestri. d ‘Ascia ) conosciuti in tutto il Mezzogiorno . Negli anni ’70, la salumeria dei miei genitori si trasferì in quei locali dove cera prima la Farmacia Acierno , per riaprire la nuova salumeria ( a puteca di Rosetta ) , dove difronte nel Portone c’era la bottega di Masta Biaso ’o falignam (Biagio Napolitano), artista del legno e uomo di nobiltà rara. Tra Via Roma e la Piazzetta Croce ricordiamo il negozio di Stella Fusco, nota come Stella ‘a Giuricetta ( lavoratrice istancabile ), mentre in Via Quercia la macelleria degli indimenticabili Lilina e Pasquale Napolitano , che hanno onorato la nostra comunità.

​Dobbiamo ricordare la figura tragica e fiera di Vito Acierno, figlio di commercianti. Emigrato in America nel 1928, scrisse alla sua amata Rusinella:
​”Rusinella mia amata e promessa sposa, ccà addò m’aggio truvato è ‘nterra a chistu munno ‘e dispiacere. I miedici m’hann’ ditto ca ‘a vita mia è corta assaje… Ccà fann’ ‘o pan’ e ‘o mangia’, ma è pane senza sale. È comme ‘a rosa senza addore, è comme ‘e ffemmene senza onore. E ‘o Vituccio tuoio nun se scorda ‘e te e nun se sposa. San Filician’ mio, lievame sto dulore!”

​Poesia dedicata a San Feliciano Martire

​”San Filician, Bell’ e Car… Tu ca canusci ‘o sapore r’a bilancia e r’a fatica, fa’ ca ‘a memoria r’e putecari nun se perde, e a fede nuostra torna forte e verde. Proteggi ‘e figlie ‘e chesta terra antica, ca s’alzano ampressa pe’ s’abbuscà ‘a fatica.”
​”Uocchie d’argiento e core ‘e putecaro, Tu ca cammine ammiezz’ a ‘o friddo e a ‘o fango, scinn’ ancora pe’ ‘e vie r’o paese car’, e asciutta ogne lacrema e ogne chianto. Benedice ‘e putek’ e chi fatica c’o core, San Filician’ mio, Tu si’ ‘o rignante ‘e l’onore.”

​La fede non decade. I sacrifici di Zi Drea, Filician’ o’ Barbaciano, Utilia ‘a Cuntessa, l’arte degli Spurtullari, la professionalità del Dott. Michele Acierno, l’arte di Masta Biaso e Masta Ciccio: i ricordi dei nostri padri sono l’unica cosa eterna.

La verità tra le pieghe del tempo

È sempre un piacere riscoprire la vera storia attraverso i documenti originali . Mentre il racconto di oggi parla di tempi difficili e assenze di organizzazione , le carte dell ‘ epoca ci restituiscono un immagine ben diversa : una Sirignano splendida , viva , con i suoi economi dediti alla cura delle feste e una dignità sociale documentata . La verità è scritta nelle pagine del tempo e brilla più di ogni parola detta a voce .

​Nihil enim est opertum quod non reveletur, nihilque occultum quod non sciatur.

​Michele Acierno

​Foto tratte dall’Archivio Famiglia Acierno

’O Putecar’ ’e Sirignano Fede, lavoro e memoria sotto lo sguardo di San Feliciano Martire