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BERLINO – Il 9 novembre 1989 è una delle date più significative del XX secolo, simbolo della fine della Guerra Fredda e dell’inizio di una nuova era per l’Europa.
In quella notte storica, dopo 28 anni di divisione, il governo della Germania Est annunciò l’apertura dei confini con Berlino Ovest: migliaia di cittadini si riversarono nelle strade, varcando liberamente i checkpoint e iniziando ad abbattere, a mani nude, il Muro di Berlino, emblema della cortina di ferro che aveva separato il mondo in due blocchi.
Il muro, eretto il 13 agosto 1961, era stato costruito per impedire la fuga dei tedeschi orientali verso l’Ovest. Lungo oltre 150 chilometri, tagliava in due la città e la vita di milioni di persone, dividendo famiglie, amici e una nazione intera.
La sera del 9 novembre, dopo giorni di tensioni e proteste pacifiche, un errore di comunicazione durante una conferenza stampa accelerò gli eventi: un funzionario, Günter Schabowski, annunciò che i cittadini della DDR potevano attraversare liberamente i confini “da subito”.
In poche ore, migliaia di berlinesi si riversarono ai valichi. I soldati, colti di sorpresa, non ricevettero ordini di intervenire. E così, poco dopo le 23, le prime barriere si aprirono tra lacrime, abbracci e canti di gioia.
Quelle immagini – i berlinesi che, in piedi sul muro, con picconi e martelli, celebravano la libertà – fecero il giro del mondo, diventando il simbolo della caduta del comunismo nell’Europa dell’Est.
Nei mesi successivi, il processo di riunificazione tedesca divenne irreversibile: il 3 ottobre 1990 la Germania tornò ufficialmente un solo Paese, ponendo fine a una delle divisioni più dolorose del Novecento.
A 36 anni di distanza, il 9 novembre 1989 resta una data scolpita nella memoria collettiva, il giorno in cui cadde un muro di cemento, ma soprattutto un muro di paura e oppressione.
