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Alla vigilia di un intervento nella Università delle tre età di Visciano, propongo ai partecipanti ed ai lettori un canovaccio di riflessioni. Chi legge, avrà premura di considerare per ogni punto fermo, l’inizio e la fine di una osservazione fatta sul tema. Va chiarito che il “disabile” è prima di tutto una persona con una sua dignità ben costituita. Come persona, le istituzioni pubbliche e private dovranno ragionare sugli interventi di assistenza, di inclusione, di integrazione e di supporto alle difficoltà dei singoli. La Chiesa ha da tempo dichiarato ” l’accesso ed il diritto ai sacramenti” da parte di tutti, ma non ha ancora fatto una presa d’atto, sul tema della formazione cristiana e della preparazione ai sacramenti delle persone con handicap. Si dovrebbe istituire nelle singole diocesi, ambiti di “catechesi pro-disabilità “, distinguendo questo aspetto da quello della ” malattia “, a cui ancora oggi è abbinato. La Costituzione Italiana, principale fonte giuridica del nostro Paese, sancisce all’articolo 3 ” la pari dignità di tutti i cittadini “, ” ….promuovendo il superamento di tutti gli ostacoli, che si frappongono alla concreta e reale uguaglianza di tutti…”. La legge realizza per i disabili un quadro di riferimento presente nel D.P.R. 104/92, nel quale a tutto tondo, vengono indicate le azioni che le istituzioni ” devono svolgere ” nella assistenza sanitaria, nella inclusione a scuola, nel supporto delle terapie e dei sussidi a favore delle persone con handicap, dell’inserimento facilitato nel mondo del lavoro e così via.
Dettami che non sempre vediamo applicati nella realtà di tutti i giorni, distrazioni ed indolenze giustificate e motivate dalla scarsità delle finanze o dalla mancanza di risorse professionali adatte. Il primo nucleo che assorbe tutti gli aspetti che voltano intorno allo sviluppo delle persone disabili è la famiglia. Essa deve essere un ” microsistema sociale “, nel quale gli affetti e la consanguineità rappresentino il volano attraverso il quale aiutare il disabile all’inclusione nella società.
Bisogna rifuggire da ogni forma di chiusura ed eccesso di protezionismo, che potrebbero rappresentare delle ” catene virtuali ” che bloccano l’evoluzione e le autonomie delle persone disabili. Queste ultime devono essere considerate una forma di ricchezza per le comunità (ecclesiali e civili) in cui è presente, la sua diversità apra gli orizzonti di tutti coloro, che si definiscono normodotati.
Vincenzo Serpico
