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di Antonio Vecchione
Il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne (PSNAI), approvato dal governo Meloni, penalizza fortemente i piccoli centri e viola l’articolo 3 della Costituzione: la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli che limitano l’eguaglianza e la partecipazione di tutti i cittadini. Questo piano non solo non li rimuove, ma dichiara la resa senza condizioni. Per capire la portata della questione, bisogna risalire alla definizione di Aree Interne: sono quasi 4.000 Comuni italiani, sparsi in ogni regione, che si trovano lontani dai centri dove si concentrano servizi essenziali come sanità, istruzione e mobilità. Coinvolgono oltre 13 milioni di cittadini, il 23% della popolazione, distribuiti su quasi il 60% del territorio nazionale. In pratica, il cuore dell’Italia, quella che custodisce boschi, pascoli, acque, borghi storici, comunità coese e identità storiche. La strategia disegnata dal Piano è deprimente: diagnostica una malattia terminale di questi territori e prevede uno spopolamento irreversibile. Ecco la sentenza: “Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento”. E’ la nuova linea di indirizzo strategico dello Stato verso centinaia di Comuni italiani, per lo più montani, collinari o rurali: si rinuncia ufficialmente all’idea di invertire la tendenza allo spopolamento e si pianifica il declino. Sono territori senza speranza di rinascita e lo Stato prende atto del loro insanabile decadimento. In questo contesto sorge spontanea una domanda: lo spopolamento (e la relativa involuzione) è un fenomeno che affligge anche il nostro territorio e se lo Stato sarà assente e non in grado di aiutarci, quale sarà il nostro futuro? Su chi potremo contare per realizzare una inversione di tendenza, un possibile e sostenibile sviluppo? La risposta è scontata ed è la stessa che risuona nei confronti politici da più di 50 anni: dovremo contare sulla nostre forze, sulle nostre capacità di rilancio, sulle nostre energie giovanili, in estrema sintesi, nella Fusione dei comuni. La mitica “Città del baianese” è stata per decenni un obiettivo politico ipocritamente inserito in tutti i programmi elettorali ma senza alcuna convinzione. L’obiettivo vero è stato sempre quello di “conservare” l’attuale sistema, che, nelle piccole municipalità, garantisce a pochi fortunati privilegi e percorsi facilitati, costringendo gli altri, in particolare i giovani, al dramma dell’emigrazione per cercare lontano le opportunità di lavoro.
La nostra dimensione territoriale è caratterizzata dalla rete, sempre più fitta e a maglie strette, della conurbazione intercomunale, in cui “coesistono” e si commisurano con le stesse esigenze e problematiche le realtà di Avella, Baiano, Mugnano del Cardinale, Quadrelle, Sirignano e Sperone. Dimensione che rende obbligata la scelta di una “visione” comune di governo dell’area, condiviso nelle scelte e negli indirizzi, per valorizzare il territorio con le sue reali vocazioni e potenzialità, sul piano delle attività produttive, paesaggistico – ambientale, oltre che sul versante del patrimonio di beni storico – culturali. Ed in questo ultimo campo registriamo con piacere e orgoglio la valorizzazione di Avella come città d’arte a livello regionale e nazionale. Un lodevole esempio per l’intero territorio, un volano in grado di rimettere in movimento le energie positive dell’intera valle del Clanio.
La legge incoraggia e incentiva l’associazionismo tra i piccoli Comuni, individuando gli ambiti territoriali entro i quali essi possono espletare l’attività di pianificazione urbanistica in forma associata. Un percorso che sembra tracciato su misura per la nostra Area e chiama alle proprie responsabilità le amministrazioni locali, le rappresentanze socio – imprenditoriali, i partiti e i sindacati, le associazioni culturali e sportive, con scelte condivise nella partecipazione più estesa e trasparente possibile. Una mobilitazione che si realizzò nel 2005 grazie all’associazione “Insieme per l’Unione” che fu fondata da illuminati cittadini per promuovere la Fusione dei Comuni. L’associazione ebbe un notevole successo di partecipazione in tutti i comuni del territorio: più di 50 i soci che aderirono e frequentarono. Un risultato importante fu raggiunto nel febbraio del 2006: i sei sindaci parteciparono all’assemblea e firmarono un protocollo d’intesa, “impegnandosi coraggiosamente ad adottare i provvedimenti amministrativi necessari per costituire l’Unione”. Purtroppo un impegno mai mantenuto ma che rimane un obbligo morale e politico nell’interesse delle nostra comunità.
Non posso che concludere con due appelli.
Il primo ai consigli comunali per dare concretezza all’iter per la costituzione della Fusione Intercomunale.
Il secondo è indirizzato con fervida passione civile alla cittadinanza attiva: il voto non esaurisce la partecipazione dei cittadini. Occorre partecipare, essere informati, vigilare, esprimere opinioni, per far crescere, attraverso il confronto, il livello sociale della comunità.
Il disinteresse diffuso è segno di resa e contribuisce al declino sociale che abbiamo l’obbligo di evitare.
