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Una lettera aperta che fa riflettere sul vero significato dell’inclusione scolastica e sociale per i ragazzi nello spettro autistico.
Una madre, dell’area nolana, ha voluto raccontare pubblicamente a Binews l’esperienza vissuta insieme al figlio A., un ragazzo di 14 anni con diagnosi di disturbo dello spettro autistico, che ha appena terminato la scuola media e si prepara ad affrontare il percorso liceale.
«Mio figlio ha seguito un percorso differenziato», spiega la donna, «a causa della sua condizione, spesso minimizzata o relegata a etichette: difficoltà relazionali, rigidità nei comportamenti, pensiero non flessibile». Ma al di là delle definizioni cliniche, ciò che emerge con forza è la difficoltà concreta di vivere in una società che si dice inclusiva, ma che spesso non lo è nei fatti.
La madre racconta che il figlio è stato iscritto in un istituto presentato come “inclusivo”, dove «l’inclusività era la formula magica». Tuttavia, la realtà si è dimostrata ben diversa. Il ragazzo è stato emarginato nelle dinamiche scolastiche e relazionali, e addirittura escluso dalla festa di fine anno, organizzata dai genitori della sua classe. Una ferita profonda per chi già vive un senso di isolamento.
«Non è stato invitato, nonostante l’organizzazione fosse aperta a tutti», scrive con amarezza. Anche le soluzioni proposte per includerlo sono sembrate più un atto di tolleranza che un reale gesto di accoglienza: «Mi è stato chiesto di rimanere in disparte per non destabilizzare gli altri ragazzi».
Solo alla fine, quando la madre si è presentata con il figlio per il taglio della torta e dei saluti, non c’è stata alcuna reazione da parte degli altri genitori. Nessuno sguardo, nessun gesto.
«Ci parlano di società civile, di inclusione, ma la realtà per noi è ben diversa», conclude. «Speriamo un giorno in un sistema davvero capace di accogliere, non solo nei proclami».
Il racconto, toccante e diretto, apre uno squarcio su un problema ancora troppo sommerso: l’inclusione non può essere solo una parola da usare nei progetti educativi o nei convegni. Deve diventare una pratica concreta, quotidiana e coraggiosa.
