Felice Graziano, alias “Felicione”: «Biagio Cava mi voleva morto, come io a lui»

Felice Graziano, alias Felicione: «Biagio Cava mi voleva morto, come io a lui»

«Biagio Cava mi voleva morto, come io a lui». A dichiararlo in un’aula di Tribunale è Felice Graziano, alias Felicione, collaboratore di giustizia. Il pentito quindicese ha risposto alle domande del pm antimafia Francesco Soviero, che gli chiedeva degli attentati alla sua persone voluti ed organizzati dal clan rivale dei Cava. Felice Graziano ha risposto alle domande in videoconferenza, nel processo che si teneva presso la Corte di Assise. Ed ha raccontato nei dettagli tutti gli episodi. A partire dall’attentato subito nel 2005, a Quindici, mentre si trovava affacciato sul balcone della sua abitazione di via Roma, assieme al cognato Biagio Fusco. «Erano sicuramente tra le diciotto e le diciannove del pomeriggio del mese di maggio. Prima dell’agguato avevo visto degli estranei passare sotto casa. Il giorno che avvenne l’agguato vidi svoltare il furgone con una cassetta di frutta che copriva un’apertura ricavata sul tetto. capii subito che qualcosa non andava. Quando poi sentii dire all’uomo alla guida “Vai, vai”, sono arretrato ed istintivamente misi la mano dove tenevo la pistola, che non trovai perché era sul frigorifero. Mio fratello l’aveva spostata. Il Fiorino era arrivato all’altezza della Chiesa quando sono uscito nella concitazione di trovare la pistola e da quel momento sparai 10 o 11 colpi. Scappò verso Casamanzi». Il magistrato, inoltre, ha chiesto a Felice Graziano se nelle fasi antecedenti l’agguato avesse parlato con il conducente del Fiorino. «Mio cognato disse solo: quasto va piano piano, che si ferma a fare. La cosa sembrava un po’ strana. Poi ho sentito l’esplosione. La pallottola si conficcò all’altezza del balcone. Dopo che se ne andarono, coprì il buco, prima con della carta imbevuta nell’acqua, poi con della calce. Il collaboratore di giustizia, in aula, ha rivelato anche di aver riconosciuto dopo qualche anno il conducente del Fiorino. «L’ho riconosciuto quando sono stato al 41bis di Viterbo. Era il febbraio del 2007. Dal gabbiotto blindato, dopo aver finito l’ora d’aria, vidi questa persona. Tonino Varriale, un nostro vecchio amico, passeggiava con lui. Aveva un segno sul mento, lo ricordo bene e poi lo riconobbi nella foto». L’uomo riconosciuto da Graziano è Giuseppe Giugliano, già condannato in primo grado nel processo con rito abbreviato a 12 anni di reclusione. La prossima udienza del processo si terrà ora il 22 settembre, quando in aula saranno ascoltati i collaboratori di giustizia Aniello Acunzo e Antonio Scibelli. Sarà un’udienza decisiva.