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di Antonio Vecchione
In un interessante articolo su fbk, sulla base di una semplice foto di un corso di formazione per l’uso di macchine da cucire Borletti, Stefanina Belloisi ha confermato la sua capacità di interpretare la realtà territoriale e di aprire squarci di vita e di storia delle nostre comunità. La Borletti ha una lunga e importante storia nell’industria italiana. Nella seconda metà dell’ottocento è già attiva nella produzione di orologi e strumenti di precisione ed è protagonista della grande distribuzione (Rinascente). Negli anni ’50 la produzione si amplia con le macchine da cucire. Gli scenari che Stefanina ha evocato mi sono molto cari avendoli vissuti intensamente e costituiscono uno stimolo ad ampliare il racconto di quella realtà.
Le macchina da cucire ebbero uno straordinario successo fin dal primo dopoguerra. La “Singer”, industria americana che le inventò a metà dell’ottocento, le diffuse nel mondo intero. La prima filiale italiana fu aperta a Milano nel 1914 e nel 1935 iniziò la produzione in uno stabilimento di Monza. A Baiano, grazie alla lungimiranza di Carmine Arbucci, nel 1936 la Singer organizzò un corso di formazione che registrò una notevole partecipazione di donne a conferma della loro importanza nella struttura familiare, non soltanto dal punto di vista affettivo, ma anche per le responsabilità che si assumevano nell’organizzazione pratica e nel sostegno economico. Infatti le attività di sarta e di ricamatrice erano economicamente e culturalmente rilevanti nella società del tempo. Per giudicarne la portata vale la pena ricordare che, all’epoca, non esistevano abiti o indumenti già confezionati; tutto si cuciva a mano, vestiti, sottane, camicette e camicie da notte, “mantesini” (larghi grembiuli indossati ogni giorno, comodi per lavorare); perfino la biancheria intima, mutande, reggiseno e calze erano rigorosamente cuciti a mano. Tutti dovevano ricorrere alle sarte ed il lavoro non mancava mai alle più brave, che ne ricavavano prestigio e mezzi per vivere. Schiere di ragazze frequentavano le loro “botteghe”, desiderose di imparare un mestiere ritenuto tra i più qualificati, che avrebbe consentito loro di scalare le gerarchie sociali (rispetto al pesante e umiliante lavoro di contadina o “cirasara”). “Vaco ‘a maesta” si diceva, chiamando così il lunghissimo apprendistato fatto in una di queste botteghe.
E’ importante sottolineare anche il rilievo sociale per le ragazze nell’imparare questo mestiere. E’ bene precisare che, all’epoca, la vita pubblica delle ragazze era inesistente e la frequenza ai corsi di tagli e cucito costituiva l’unica occasione di svago e di evasione dall’angusto ambiente familiare e dagli onerosi impegni lavorativi che gravavano sulle donne. L’unica uscita consentita alle ragazze era quella della domenica pomeriggio al circolo di Azione Cattolica gestito dalle suore di palazzo Spagnuolo. E, a conferma dell’interesse per il mestiere di sarta, grazie alla presenza di una straordinaria ed indomabile suora, Maria Nativitè sostituita poi da suor Domenica, negli anni cinquanta si tenne un corso di taglio, cucito e ricamo per le ragazze baianesi. Il carattere confessionale dell’attività era evidente ma le ragazze godevano degli agognati sprazzi di libertà che comunque offriva.
Non tutte le allieve mettevano a frutto gli insegnamenti fino a divenire, a loro volta, sarte. Ma questo non le scoraggiava. Il risultato minimo che si conseguiva era comunque importante: saper usare ago e filo, qualità indispensabile di una buona moglie e madre per tutte le necessità di cucito di una famiglia. Un contributo notevole alla diffusione delle macchina da cucire lo diede Francesco Acierno, meglio conosciuto come Ciccillo ‘e ‘nzelle, fabbro per formazione ma geniale e creativo, aperto alla modernità. Comprese subito l’importanza di queste macchine e si attrezzò per gestire la concessione ufficiale della Singer e il laboratorio di manutenzione. La sua bottega era situata all’angolo tra piazza Napoletano e l’ottocentesco edificio scolastico, abbattuto nel 1980. Peraltro come testimonianza della sua feconda intelligenza, divenne anche concessionario dei primi motorini in commercio prodotti da una casa motociclistica italiana, la DEMM, con sede a PorrettaTerme. Creata nel 1919 come industria meccanica, nel 1953 presentò una moto da 125 cc. Ben presto le esigenze del mercato convinsero la dirigenza a progettare una moto leggera da 50 cc. Nacque nel 1956 il DEMM DICK DICK, che ebbe uno strepitoso successo e che ancora adesso suscita l’entusiasmo della mia generazione. Il Dick Dick fu il capostipite di tutti i motorini sui quali scorrazzavano i ragazzi nei decenni successivi. Mitici i raduni organizzati da Stefano e ‘nzella con almeno un centinaio di motorini. Tornando al racconto del mestiere di sarta, ho un vivo ricordo di mia madre, Maria Candela, seduta alla sua preziosa Singer che conserviamo come una sacra reliquia. Tutto il suo tempo libero dagli impegni commerciali era sfruttato per confezionare il vestiario per la nostra numerosa famiglia. Si era formata alla scuola di Maria ‘a mastarrizza, famosa e stimata sarta.
Altra scuola famosa e apprezzata era quella di Rosinella ‘e nufrio, una delle più brave maestre. Nella sua bottega, a via Nicola Litto (vico ‘a marunnella), lavoravano almeno una diecina di ragazze, che si sottoponevano alla lunga trafila di allieve, ripetendo per mesi le operazioni più semplici come quelle di “surfilare” e di “nchimare”, prima di essere in grado di cucire col “retropunto” o di “tagliare”. Molto seguito aveva anche “Tattella ‘e mastaffonso”, che abitava poco distante dalla Chiesa di S. Apostoli, in un bel palazzo dal nome curioso, ‘o palazzo ‘e sfrattatiane, abbattuto nel dopo sisma del 1980. Tattella era stata allieva prediletta di Madama Foglia, una vera e propria stilista, che, formatasi negli USA, era ricordata per l’eleganza ed il garbo; le sue allieve erano da lei affascinate, perché era tanto rigorosa e severa nell’insegnare, quanto dolce e gentile nei modi.
Altre botteghe erano attive al quartiere S. Giacomo. ‘Ngiulinella ‘a gnelella lavorava a vico Belloisi e soprattutto Maria De Feo, vera maestra d’arte. Carattere allegro ed espansivo, elegante nei modi, intelligente e dotata di una vena ironica garbata e mai invasiva, Maria era un autorevole riferimento non soltanto come sarta ma anche come protagonista sociale e culturale del quartiere di S. Giacomo. La sua clientela era affezionata e apprezzava le sue creazioni.
Altrettanto importanti erano le ricamatrici. Un corredo ricco e bello, da portare in dote per il matrimonio, era il sogno di tutte le ragazze. Dovere delle loro famiglie era di sottoporsi ad ogni sacrificio per accontentarle, destinando a questo scopo i sudati risparmi. Le lenzuola ricamate di “primo letto”, i cuscini, le tovaglie, le camicie da notte, gli asciugamani, questi i capolavori che uscivano dalle mani delle ricamatrici.
Numerose le “artiste” che li realizzavano nelle loro botteghe, dislocate nei vari punti del quartiere: “ncoppa ‘a mazz’catore”, il laboratorio delle sorelle Litto, ‘e scoppettere, Clelia, Donna Rafela e Maria; a S. Giacomo, Elisa e Anna Piacente che, per la loro bravura e disponibilità di “maestre”, avevano numerose richieste di ragazze che volevano imparare questa pregiata arte; Filomena ‘e Nfranzullo e Francesca ‘a ricciotta; al catafalco, Maria e Cicchina ‘a ruoio.
Anche i sarti per uomini erano numerosi e di qualità. Essi servivano prima di tutto i “signori”, per abiti, cappotti e mantelli eleganti. Anche le persone semplici e umili si rivolgevano ai sarti per i pantaloni di fustagno, un tessuto resistente con superficie ruvida adatto per i lavori pesanti, ma anche per il vestito del matrimonio, che sarebbe durato tutta la vita e utilizzato nelle rare occasioni per “accumparire”, magari per la festa di S. Stefano.
Ecco il lungo elenco di questi artigiani: Stefano Sorice, Raffaele Colucci, ‘o portalettere, Pasquale Lippiello, Pasquale Tavolario, Antonio Conte, ‘aucellone e suo genero Ferdinando Napolitano, ‘o culoniro, Crescenzo Lanziello, ‘o barone, Stefano ‘e simunella, Michele Napolitano, Stefano D’Apolito, ‘o pintulillo, Marcello Fiordellisi, terra terra, Stefano Colucci, ‘o pippariello (ottimo flautista nella banda musicale di Baiano), Francesco Boccieri, Tittino ‘o pupa ruolo e, infine, gli apprezzatissimi Franco Benvenuto e Mianiello Picciocchi, poi emigrati a Torino.

Graziuccia Piacente vi partecipò con grande entusiasmo e ne ricorda quasi tutte le partecipanti:
sedute: Maria Scafuri, ’a carbone, Angelina Fiordellisi, ‘a terra terra, Fiorentina Tavolario, Carmela Bellavista, Gelsomina Lippiello, ‘a zevilla, ‘a cangiana, Angelina ‘a ritunnese.
In piedi da destra: Mamma e moglie di Carmine Arbucci, Donna Amalia Candela, Nicolina Fiordellisi, Graziuccia Piacente, moglie di Ludovico D’Ischia, Lilina Picciocchi, Nennella ‘a pezzerinella, Tattella Montuori, Carmine Arbucci.

Quattro ragazze sono sedute a ricamare, concentrate e consapevoli del lavoro da svolgere.
Si riconoscono, da sinistra: Lena, a schiavuttella, Antonietta Napolitano, Tattella, figlia di Caterina ‘e ccione, Mamena ‘a bacchera, Veneranda Fiorenzo.

