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di Francesco Piccolo
C’erano esterni che non conoscevano paura, che facevano della fascia il loro regno e del pallone la loro arma. Correre per loro non era fatica, ma libertà. Saltare l’uomo, un destino scritto. Accendere una partita con una giocata, quasi un rito. Nel Mandamento, quel talento aveva un nome che ancora oggi evoca ricordi e brividi: Giuseppe Monteforte, classe 1976, altezza 1,70, ala destra instancabile, tecnica e potente, capace di trasformare ogni discesa in emozione e ogni partita in una pagina di calcio mandamentale destinata a restare.
Gli inizi: l’Unipol e la scuola Scirea
Giuseppe Monteforte, di Mugnano del Cardinale, comincia a inseguire il pallone con la maglia dell’Unipol, allenato dal padre Angelo, che lo cresce con l’occhio del tecnico e il cuore del genitore. Già da bambino il suo passo era diverso: leggero e deciso, come se avesse la fascia già scritta nel destino.
Il salto arriva con la C.A.G.C. Scirea di Biagio Peluso. In quel campionato Esordienti Monteforte non gioca soltanto: segna 45 reti, trascinando i compagni fino a una finale che si spegne solo all’ultimo respiro contro il Nola (2-1). Una sconfitta, sì, ma di quelle che rivelano un predestinato.
Quel giorno riceve il premio dal presidente Giuseppe Canonico, e da lì in avanti, in ogni torneo, sarà sempre lui il miglior calciatore, il ragazzo che tutti attendevano di vedere all’opera.
Persino il grande calcio lo chiama: un provino con il Milan, sotto gli occhi attenti di Zagatti, che lo sceglie per i rossoneri. Ma il destino si piega alla volontà della madre, che non vuole lasciarlo partire così giovane. Giuseppe resta nella sua Mugnano, e il calcio mandamentale conserva un gioiello che poteva spiccare il volo lontano.
L’Avellino e il sogno biancoverde
Un giorno mister Biagio Peluso organizza un provino a Baiano. In panchina ci sono gli osservatori dell’U.S. Avellino: Lo Schiavo e la leggenda biancoverde Adriano Lombardi. Con un pizzico di furbizia, il presidente Giuseppe Canonico porta davanti agli spogliatoi suo figlio Nicola (oggi attore) e Giuseppe Monteforte a palleggiare. Gli occhi degli osservatori si staccano dal campo e non guardano più la partita: da quel momento fissano soltanto quei due ragazzi. Alla fine della giornata, la scelta è inevitabile: entrambi vengono chiamati nelle giovanili dei Lupi.
Comincia così un’avventura entusiasmante, fatta di sacrifici e sogni, nello stesso settore giovanile dell’Avellino che in quegli anni vedeva crescere talenti come Stefano Sgambati (Boniek), Antonio De Lucia (Murticella), Giovanni Graziano tutti più grandi di lui. Giuseppe disputa i campionati Giovanissimi e Allievi Nazionali, scrivendo pagine indelebili della sua crescita calcistica e personale, ha avuto tre allenatori: 1)Landi 2) Grava ex calciatore del Napoli 3) Franco Spiezia.
Un episodio rimane scolpito nella memoria di tutti: durante una partita di allenamento tra Berretti e Primavera, Giuseppe viene chiamato a sostituire l’infortunato Cavallo, giovane foggiano che anni dopo avrebbe tragicamente perso la vita in un incidente. Appena entrato, su un cross da destra, Monteforte si avventa di testa ma il portiere in uscita, invece del pallone, centra la sua fronte. L’impatto è violento: Giuseppe crolla a terra, lo stadio ammutolisce, i compagni si mettono le mani nei capelli. Sono attimi di paura, che sembrano interminabili. Poi, come nei racconti che diventano leggende, Giuseppe si rialza tra l’esplosione di sollievo dei presenti. In quell’occasione il segretario Preziosi pronunciò la frase che lo avrebbe accompagnato per sempre:
“Guagliù, statev’accort’, chist è ‘o Banco ‘e Napule!”
Ma anche i sogni più belli devono fare i conti con la vita reale. Nonostante il talento e le prospettive, la madre volle che il figlio si dedicasse soprattutto agli studi. Così Giuseppe lasciò l’Avellino, portando con sé ricordi che non si cancellano e l’orgoglio di aver indossato quei colori.
L’età adulta: il Carotenuto e i trionfi
Il ritorno a casa coincide con una chiamata che non si poteva rifiutare. I presidenti Angelo Sanseverino e Pellegrino Schettino insistettero con suo padre Angelo, allora direttore sportivo, per portarlo al Carotenuto. Le offerte non mancavano: Solofra, Nola, Nocerina bussarono alla sua porta. Ma Giuseppe scelse il cuore, scelse Mugnano, scelse i rossoneri (sempre convocato con la rappresentativa della Campania con allenatore Pagliara).
Comincia così un ciclo memorabile: con Michele Bianco in panchina prima, poi Zavino e infine il dottor Pietro Bianco, Monteforte disputa tre campionati di Promozione ad altissimo livello. Due volte sfiora il sogno con piazzamenti d’onore, poi arriva l’anno che cambia tutto: la stagione 1996/97.
È l’anno della vittoria, del trionfo, dell’apoteosi. Il Carotenuto vola e sulla fascia destra c’è lui, Giuseppe Monteforte, il motore inesauribile, l’uomo che spacca le partite e che scrive a caratteri indelebili la storia del club. In quella squadra c’era anche suo fratello Gerardo, a rendere ancora più speciale quel trionfo, scolpito nella memoria di un intero paese.
La stagione successiva, in Eccellenza, il Carotenuto si piazza quinto, dimostrando di poter stare tra i grandi. Poi arrivò la retrocessione, ma Giuseppe non tradì mai i colori rossoneri: restò fedele fino agli inizi degli anni 2000, legando indissolubilmente il suo nome a quello del Carotenuto.
Baiano, Cicciano e i ritorni infiniti
Dopo il Carotenuto passa all’A.C. Baiano in Eccellenza, con il presidente Luigi Acierno. Ma il destino lo mette subito alla prova: un infortunio in rifinitura, alla vigilia della partita con il Gelbison, lo costringe a uno stop lungo e doloroso. La stagione si chiude con una retrocessione amara, segnata dall’assenza di uno dei suoi protagonisti più attesi.
Nella stagione successiva si trasferisce al Cicciano, sempre in Eccellenza. Anche lì la sua avventura sembra promettere tanto, ma a metà campionato, per incomprensioni con la società, è costretto a lasciare. Sembra un addio, e invece è l’ennesimo ritorno: Giuseppe rientra al Carotenuto, questa volta guidato dall’ex capitano e compagno di squadra Pasquale Vasta, pronto a ritrovarsi ancora una volta nella sua casa calcistica.
Seguono altre tappe: Polisportiva Mugnano, Sirignano, ancora Baiano e ancora Carotenuto. Un filo rossonero che non si spezza mai, che lo lega indissolubilmente non solo ai colori del club ma alla sua gente, alla sua terra, alla sua storia. Sempre al suo fianco, come presenze costanti e figure di riferimento, il padre Angelo Monteforte, instancabile dirigente, e il dottor Pietro Bianco, guida tecnica e punto fermo di quegli anni.
Il progetto De Iudicibus e le ultime sfide
A un certo punto Giuseppe decide di scendere in Terza Categoria, con la neonata squadra intitolata a Salvatore De Iudicibus, morto prematuramente. Con lui ci sono anche molti compagni di quelle giovanili dell’Avellino, e l’impatto è immediato: è subito campionato vinto.
Rimane anche nelle stagioni successive, in Seconda Categoria, fino a una retrocessione amara. Ma Giuseppe non è uomo da arrendersi: torna in Terza e conquista di nuovo il titolo, dimostrando ancora una volta che la sua passione non conosce tempo, che il suo amore per il calcio è una fiamma destinata a non spegnersi mai.
Caratteristiche tecniche: corsa, dribbling e potenza
Giuseppe Monteforte era un esterno destro fatto e finito. Corsa lunga, polmoni larghi, passo che sembrava non conoscere stanchezza. Aveva il dribbling secco, quello che non ti dà tempo di pensarci, e un tiro che, quando partiva, era più un avviso di sfratto per il portiere che un semplice pallone.
Non era solo corsa cieca: sapeva piegarsi al sacrificio della squadra, rincorrere, coprire, ma al momento giusto accendeva la partita con un’accelerazione, un guizzo, una trovata che spaccava le difese e il ritmo stesso della domenica.
Da ragazzino qualcuno lo battezzò Butragueño, e il nomignolo rimase negli spogliatoi. Ma la verità è che Monteforte non era la copia di nessuno: era il figlio del Mandamento, cresciuto con i valori della sua terra, fedele ai suoi colori. E ogni sua corsa lungo la fascia sembrava ricordarlo a tutti.
Di Giuseppe Monteforte si ricorda…
• il ragazzo dell’Unipol e della Scirea, cresciuto col padre Angelo e capace di trasformare ogni partita in una pioggia di gol;
• il sogno biancoverde con l’Avellino, tra le emozioni di un provino indimenticabile e il soprannome “Banco ’e Napule”;
• il Carotenuto dei miracoli, simbolo di una Promozione storica e di una fascia destra che portava il suo nome.
Io sono Giuseppe Monteforte!











































































