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Antonia De Mita accusa il sindaco di Benevento di trasformismo e nepotismo: “Hai ridotto la politica a un mestiere di famiglia. Mio padre non sarebbe mai stato il tuo alleato.”
Un solo commento, poche righe scritte sotto un post, e il dibattito politico campano si riaccende. Antonia De Mita, figlia del compianto leader democristiano Ciriaco De Mita, ha scelto i social per lanciare un nuovo attacco contro Clemente Mastella, sindaco di Benevento. Le sue parole, nette e misurate, arrivano come una frustata nel pieno di un clima elettorale già teso.
Antonia accusa Mastella di aver trasformato la politica in un mestiere ereditario, in un sistema di potere chiuso dentro i confini familiari. “Hai fatto mettere la moglie ovunque senza vergogna, ora il figliolino”, scrive, denunciando quella che definisce una degenerazione dinastica della rappresentanza pubblica. Per lei, la politica non è un patrimonio da tramandare, ma un impegno che richiede visione, etica e cultura.
Le parole non si fermano lì. L’attacco tocca anche la memoria paterna, un terreno sensibile e identitario. De Mita critica la scelta di dedicare un “Parco De Mita” con all’interno una discoteca, definendolo “un insulto, non un omaggio”. “Hai usato mio padre per farti pubblicità”, scrive, trasformando la polemica in una riflessione più ampia sulla strumentalizzazione della memoria e sulla perdita di senso nella politica contemporanea.
Il giudizio finale è durissimo: “Tu non sei un politico, sei un mercenario.” Parole che non lasciano spazio ad ambiguità e che colpiscono al cuore uno dei simboli più longevi della politica meridionale.
A distanza di pochi giorni dal primo affondo, la figlia dell’ex premier torna a colpire. Un secondo post, ancora più tagliente, definisce Mastella “lo stalliere di casa” e mette in dubbio la sua competenza e profondità politica. “Nonostante faccia teatro in politica dagli anni ’70 , scrive , non sa l’importanza assoluta di un settore come l’agricoltura.” Dietro la critica si intravede una doppia accusa: da un lato l’ignoranza sui temi concreti, dall’altro l’opportunismo di chi – secondo Antonia – avrebbe fatto della politica una professione e del potere una consuetudine.
La De Mita spinge il confronto anche su un piano più intimo, culturale e spirituale. Richiama la figura del padre, il suo rigore, la sua idea di politica come missione intellettuale. “Mio padre aveva altri obiettivi e una capacità culturale che non può essere confrontata con la nostra”, dichiara, segnando una distanza netta tra la politica del pensiero e quella dell’apparenza.
Sul fondo resta una tensione che va oltre lo scontro personale: è il segno di una stagione che non vuole finire, di un passato democristiano che continua a riemergere nella dialettica politica del Mezzogiorno. Mastella rappresenta la sopravvivenza di una vecchia forma di potere, fatta di relazioni, pragmatismo e adattamento. Antonia De Mita incarna, invece, la nostalgia di una politica intesa come cultura e come servizio, non come mestiere.
Il doppio attacco, a distanza ravvicinata, sembra annunciare una sfida più ampia, non soltanto tra due persone ma tra due visioni del Sud e del modo di governarlo.
Una sfida che riporta in scena la storia, le ferite e le eredità della Democrazia Cristiana, in un tempo in cui la memoria politica torna a essere un terreno di battaglia.
