La Notte che Divorò la Luce

La Notte che Divorò la Luce

Un racconto sulla nascita e l’arrivo di Halloween in Italia

di Francesco Piccolo                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    C’era una volta una notte che non apparteneva né ai vivi né ai morti.
Una notte di fuoco e vento, in cui i Celti, uomini duri e poeti del Nord, spegnevano i loro fuochi per accenderli di nuovo, invocando la protezione degli dèi. La chiamavano Samhain, “la fine dell’estate”.

Era il tempo in cui il sole declinava e il buio tornava a reclamare il mondo.
Si diceva che, quando la mezzanotte bussava, i cancelli tra i mondi si aprivano e le anime dei morti camminavano fra i vivi. Non tutte benevole. Alcune, perdute, cercavano calore nelle case; altre cercavano vendetta.

Per questo, la gente si travestiva:
pelli di animali, maschere di legno, teschi scavati nella terra.
Così gli spiriti, confusi, non riconoscevano i vivi e tornavano oltre il velo.
E quando il fuoco tremolava, si diceva che era l’anima di un defunto che danzava nella fiamma.

Con l’arrivo del cristianesimo, i santi presero il posto degli spiriti.
Il Papa volle addomesticare quella notte selvaggia e la ribattezzò:
“All Hallows’ Eve”, la vigilia di Ognissanti.
Ma la magia non morì.
Sopravvisse nelle ombre dei villaggi, nei bisbigli dei contadini, nelle lanterne che brillavano davanti alle case.
Il nome cambiò, ma l’anima rimase: Halloween.

Nei secoli, l’usanza migrò con gli uomini.
Attraversò l’oceano nascosta nelle tasche degli irlandesi,
piantò radici in America, e lì sbocciò in feste, zucche, maschere, dolcetti e scherzi.
Le città si riempirono di fantasmi di cartapesta, e la notte del 31 ottobre divenne una danza di luci e ombre.
Una celebrazione della paura addomesticata, della morte resa gioco.

Ma la morte non gioca mai davvero.

In Italia, Halloween tornò tardi, come un’antica maledizione che riemerge dal sonno.
Negli anni ’90, le vetrine iniziarono a vestirsi d’arancio, le zucche comparvero nei supermercati,
e i bambini bussarono timidi alle porte sussurrando:
“Dolcetto o scherzetto?”

All’inizio molti non capivano.
“È una festa americana”, dicevano.
Eppure, le radici erano già qui.
Da secoli, in Sicilia, si raccontava dei Morti che tornano la notte del 2 novembre per lasciare doni ai bambini buoni.
In Sardegna, si lasciava cibo per i defunti.
In Puglia, si accendevano candele per guidare le anime nel buio.
Era lo stesso spirito, lo stesso respiro antico: solo con un altro nome.

Ora, ogni anno, l’Italia vive due anime intrecciate:
quella sacra di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti,
fatta di fiori e silenzio nei cimiteri,
e quella profana di Halloween, fatta di risate, travestimenti e candele tremolanti.

E in certe notti, quando le campane suonano lente e il vento passa tra i cipressi,
se guardi bene puoi scorgere il riflesso di Samhain nei tuoi occhi.
Un bagliore antico che non si è mai spento.

Forse allora capirai che non è una festa americana,
ma un rito che ci appartiene da sempre,
una promessa sussurrata al buio:
che i morti non sono mai del tutto andati,
che la notte ha memoria,
e che il velo tra i mondi, ogni 31 ottobre,
si solleva ancora.