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di Francesco Piccolo
Settembre si apre con un rito antico quanto l’uomo: la vendemmia in Irpinia. Nei vigneti distesi tra colline e vallate, i grappoli di Greco di Tufo e Fiano di Avellino, due dei più prestigiosi vini bianchi italiani a denominazione DOCG, brillano sotto i raggi dorati del sole, pronti a diventare ambasciatori del territorio nel mondo. Quest’anno, la natura ha anticipato i tempi: la maturazione è giunta settimane prima rispetto al consueto raccolto di ottobre, un segno tangibile di come il clima trasformi non solo le stagioni, ma anche i ritmi dell’anima rurale. 
Ma il racconto dell’Irpinia bianca non si ferma qui. A fianco di Greco e Fiano, altri vitigni autoctoni completano il patrimonio enologico della provincia di Avellino: la Coda di Volpe, antichissima e legata alla storia contadina, che regala vini morbidi e fruttati; la Falanghina, diffusa in tutta la Campania ma capace qui di esprimere freschezza e mineralità; e l’Irpinia Bianco DOC, sintesi di uvaggi che esprimono l’identità corale del territorio. Una ricchezza di sfumature che fa di questa terra un unicum nel panorama vitivinicolo italiano.
I paesaggi raccontano la grandezza di questa regione: filari ordinati come spartiti musicali, ulivi secolari che vegliano come sentinelle del tempo, boschi fitti che si perdono all’orizzonte. Qui, la vite affonda le radici in terreni calcareo-argillosi millenari, custodi silenziosi della memoria geologica dell’Appennino. Ogni grappolo porta con sé l’impronta di questa matrice antica, traducendola in aromi, struttura e personalità che solo un grande bianco d’Irpinia sa esprimere.
In queste vallate, dove fiumi e torrenti disegnano sentieri d’acqua, la vendemmia non è solo raccolta: è atto sacro e collettivo, è voce di una comunità che intreccia fatica e speranza, sudore e sogno. Ogni cesta colma di uva è una promessa di futuro, ogni torchio che si avvia è il preludio a un racconto che dal mosto si trasformerà in poesia liquida.
Il vino, qui, non è semplice prodotto: è epopea contadina, canto della terra. Nel bicchiere si riflette il cielo d’Irpinia, il vento che corre tra le colline, il respiro dei monti che abbracciano la valle. È il frutto di una tradizione che non si limita a resistere, ma che si rinnova con coraggio, trovando nuove strade pur restando fedele a sé stessa.
A chi oggi si china tra i filari, a chi porta sulle spalle il peso delle ceste, a chi trasforma i grappoli in vino, va l’augurio di una stagione prospera e luminosa. Perché la vendemmia non è solo raccolto: è rinascita, promessa e destino.

