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Negli Stati Uniti dei primi decenni del Novecento il clima sociale era attraversato da tensioni fortissime: scioperi, disoccupazione, conflitti sindacali, diffidenza verso gli immigrati e paura del comunismo alimentavano sospetti e repressioni. L’epoca del cosiddetto “Red Scare” (Paura rossa) vide migliaia di persone perseguitate per simpatie anarchiche o socialiste.
In questo scenario si colloca la vicenda di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, due immigrati italiani, anarchici dichiarati, che diventeranno protagonisti di uno dei processi più controversi della storia americana.
L’accusa
Il 15 aprile 1920 a South Braintree, nel Massachusetts, durante una rapina a una fabbrica di calzature furono uccisi un cassiere e una guardia armata. Pochi giorni dopo Sacco, operaio calzaturiero, e Vanzetti, venditore ambulante, furono arrestati e accusati dell’omicidio.
Le prove a loro carico erano fragili: riconoscimenti oculari incerti, perizie balistiche contestate, un linguaggio giudiziario spesso carico di pregiudizi contro la loro condizione di immigrati italiani e di anarchici.
Il processo
Il processo si aprì nel 1921 e attirò rapidamente l’attenzione internazionale. La difesa sostenne l’innocenza degli imputati, accusando l’accusa di aver costruito un caso basato sul pregiudizio più che su fatti concreti.
Nonostante ciò, la giuria dichiarò Sacco e Vanzetti colpevoli. Per sei anni seguirono appelli, richieste di revisione, proteste popolari negli Stati Uniti e in Europa. Intellettuali come Albert Einstein, H.G. Wells e Romain Rolland, insieme a movimenti sindacali e politici, denunciarono l’iniquità del processo.
L’esecuzione
Dopo numerosi rinvii, il 23 agosto 1927, Sacco e Vanzetti furono condotti sulla sedia elettrica nella prigione di Charlestown, Boston. Le loro ultime parole ribadirono la fiducia nei propri ideali e l’innocenza.
La notizia scatenò proteste in tutto il mondo: a Parigi e a Londra si registrarono manifestazioni di piazza, a Ginevra fu proclamato il lutto cittadino, in America Latina ci furono scioperi di solidarietà. La vicenda contribuì a far emergere l’immagine di un sistema giudiziario americano piegato a paure e discriminazioni.
L’eredità
Negli anni successivi, storici e studiosi hanno discusso a lungo sulla reale colpevolezza di Sacco e Vanzetti. Alcuni ritengono che almeno uno dei due fosse coinvolto, altri insistono sulla loro innocenza. Ma ciò che resta indiscutibile è che il processo fu viziato da pregiudizi politici ed etnici, e che l’esecuzione rappresentò una ferita nella coscienza civile americana.
Nel 1977, a cinquant’anni dall’esecuzione, il governatore del Massachusetts Michael Dukakis emise una dichiarazione ufficiale di riabilitazione morale, riconoscendo che Sacco e Vanzetti non avevano ricevuto un processo equo e che erano stati trattati ingiustamente.
La vicenda di Sacco e Vanzetti è divenuta simbolo universale delle ingiustizie subite dagli immigrati, dei rischi legati alla paura politica e del valore della solidarietà internazionale. Ancora oggi il loro nome richiama alla memoria la necessità di difendere i diritti civili e la giustizia, anche nei momenti più difficili.
