Referendum costituzionale del 4 dicembre: intervista ad Antonio Vecchione

Referendum costituzionale del 4 dicembre: intervista ad Antonio Vecchione

In vista del Referendum del 4 dicembre prossimo abbiamo ascoltato l’opinione di Antonio Vecchione, sempre molto attivo e in prima linea su quelle che sono le questioni politiche che interessano la nostra area.

Il dibattito sul voto referendario diventa sempre più aspro. Pietro Vittoria è intervenuto con un volantino con le sue ragioni del Si. Lo hai letto? Certamente. Stimo molto Pietro, una persona seria, corretta, razionale e, nello stesso momento, di grande passione civile. Ho anche letto su fbk i numerosi commenti, che sono apprezzabili per  la volontà di partecipare e contribuire al dibattito pubblico. Devo però rilevare che non sempre la rete riesce a canalizzare il confronto nella giusta direzione: ciascuno tiene più a tenacemente sostenere le proprie ragioni piuttosto che ascoltare gli altri. L’Italia, purtroppo,  è spaccata in due fazioni, l’una contro l’altra armata, ed è uno scenario inquietante.  Io auspico sempre  “moderazione”, che non è un patrimonio della destra né tantomeno di Berlusconi, che ne menava vanto,  ma  è una prassi di tolleranza, equilibrio, misuratezza, una propensione alla mediazione, segno distintivo dei politici e dei cittadini,  da destra a sinistra. Un auspicio inascoltato.  

Condividi il pensiero  di Pietro?   La necessità di superare il bicameralismo, come ha ben scritto Pietro,  è avvertita dal Parlamento, nella sua interezza, da circa 40 anni. Le numerose commissioni parlamentari nominate con questa finalità sono state fallimentari per l’incapacità (e  irresponsabilità) dei politici a trovare una sintesi nell’interesse pubblico.  Eppure erano scesi in campo personaggi del calibro di  Bozzi, Spadolini, Craxi, De Mita, D’Alema, Berlusconi. Risultati: zero, una vergogna, sulla pelle degli Italiani.  L’ultimo impegno per approvare la riforma fu preso all’unanimità dal Parlamento nel 2013,  davanti a Napolitano costretto ad accettare il secondo mandato. Renzi, finalmente,  è riuscito a trovare in Parlamento  una maggioranza intorno alla sua proposta di riforma. E’ una buona riforma? I costituzionalisti si sono divisi, tra il Si e il NO. La stragrande maggioranza delle forze politiche è per il NO, ma temo più per ragioni di bottega che per il merito. I dubbi ci sono e legittimi e anche per me si poteva far meglio (in particolare per il Senato). Ma l’astiosa opposizione  di quei personaggi che in tanti anni non sono riusciti a combinare nulla (D’Alema, De Mita, Berlusconi, ecc.) è per me indecente: dovrebbero soltanto tacere ed evitare spudorate affermazioni del tipo: votiamo No e poi approveremo la nuova riforma in pochi mesi. Io, da semplice e responsabile cittadino, dopo attenta e serena riflessione, sono arrivato alla decisione di votare Si. Non  condivido, infatti, gli attacchi sferrati all’impianto della riforma. Cominciamo col dire che i valori fondanti non sono assolutamente in discussione e che, inoltre, i Padri Costituenti hanno lasciato un mandato chiaro alle generazioni future: di innovare e cambiare in funzione dei mutamenti della storia. I rischi di uno strapotere del governo o di un uomo solo al comando? Per me esagerati. Non siamo un paese instabile del terzo mondo, ma un paese dalla democrazia matura. Da piccolo imprenditore, costretto a fare i conti con una crisi economica ma anche dalla mancanza di fiducia (anche chi potrebbe investire, rimanda a tempi migliori), mi aspetto un cambio di mentalità, un diverso approccio ai problemi. Siamo vittime da decenni di uno strapotere assurdo e sordo della burocrazia: da anni si parla inutilmente di semplificazione e di Stato leggero. Non possiamo continuare a rimanere nella palude di inerzia alla quale siamo stati condannati da politici inetti. Non amo Renzi e il suo modo da sbruffone di comunicare e gestire, ma neppure vorrei tornare ai politici “sfinge”, che si caratterizzano per l’immobilismo e per i privilegi che assegnano a se stessi e ai loro favoriti. Auspico un paese concreto e dinamico, in cui prevalga il merito, la giustizia sociale e l’attenzione per le fasce deboli. Io spero (e sono fiducioso) che votare SI a questo referendum sia il primo passo in questa direzione.

Le maggiori critiche sono per il “combinato disposto”, il rapporto tra l’Italicum e la riforma costituzionale che provocherebbe effetti disastrosi. La tua opinione in merito?  Non sono esperto della materia, ma ho letto molto in proposito e mi sono convinto che la critica sia condivisibile. La minoranza del PD ha molto insistito per modificare l’Italicum, ovvero la legge elettorale, per superare il “combinato disposto”. L’accordo è stato trovato e sottoscritto. Renzi manterrà questo impegno?  Ritengo non possa tirarsi indietro. Ma mi consento un’osservazione personale sull’Italicum anche se in palese dissenso con il sentire comune. Da qualche anno abbiamo scoperto lo scandalo dei “nominati” in politica. Ferocemente contrari i commenti in rete contro questo aspetto  della legge percepito come “violenza” alla democrazia. Ma io mi chiedo e vi chiedo: ma dove siamo stati fino ad oggi? Voto da più di cinquanta anni e posso affermare che la stragrande maggioranza degli eletti sono sempre stati “nominati” dal sistema. I candidati sono sempre stati scelti dai pochissimi che comandavano o, al massimo, dividendosi i posti in lista tra maggioranza e opposizione (o in funzione delle diverse correnti). Noi elettori avevamo ben poco da scegliere, anche perché poi i leader territoriali indicavano nomi e cognomi di chi doveva essere votato. E guai a chi non si adeguava. Gli altri? Servivano a riempire la lista e poi, magari, avevano diritto a un premio di consolazione per la presenza. Per contrapporsi a questa oscenità, a mio avviso, ci sono due sistemi (e ne parlo non da studioso, ma da chi riflette sulle esperienze concrete di cittadino): le primarie e i collegi piccolissimi uninominali, sgradite alla maggioranza dei leader (salvo che al PD). Le primarie del Pd hanno rivoluzionato la rappresentanza parlamentare di questo partito. Una folla di giovani e donne si sono guadagnati al candidatura e l’elezione per la prima volta nel 2013: mai successo. I collegi piccolissimi consentirebbero a esponenti della società civile, pur non inquadrati nei partiti, ma conosciuti ed apprezzati per le loro attività a favore del pubblico, di essere riconosciuti ed eletti (ricordo con piacere l’elezione del prof. Manganelli, stimatissimo  nel collegio di Nola, a danno di tutti i partiti). Io,  per battaglie civili in questa direzione, sarei pronto a partecipare e dare il mio piccolo contributo.