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Un messaggio agghiacciante è comparso sotto un video TikTok dedicato ai funerali di Martina Carbonaro, la quattordicenne uccisa brutalmente a San Salvo dall’ex fidanzato per gelosia. Una tragedia che ha sconvolto l’intero Paese, ma che sembra non aver fermato la deriva violenta che si insinua sempre più nei comportamenti di alcuni giovanissimi.
L’autore della minaccia si firma “utentesegreto”. Avrebbe pubblicato la foto della sua presunta ex fidanzata accompagnandola con frasi minatorie, proprio nei giorni in cui l’Italia piange l’ennesima vita spezzata dalla cultura del possesso e della sopraffazione. Un gesto grave, da non derubricare come semplice provocazione o bravata adolescenziale.
Il fatto è già all’attenzione delle forze dell’ordine, ma pone con forza una domanda che non possiamo più rimandare: cosa stiamo facendo per fermare questa spirale di odio e violenza? Martina è stata uccisa perché aveva detto “no”. E ora, qualcuno prova ad emularla, a reiterare lo stesso schema, a minacciare ancora, pubblicamente, nell’indifferenza di una piattaforma che ha ormai sostituito le piazze e le aule scolastiche come luogo di formazione delle coscienze.
Questo episodio ci riguarda tutti. Non è un caso isolato, ma un sintomo. Il web è diventato terreno fertile per la banalizzazione del male, dove frustrazione e rancore si trasformano in like, commenti, condivisioni. Dietro lo schermo, si coltiva l’illusione dell’impunità. Ma le parole sono pietre. E i segnali, se ignorati, si trasformano in tragedie.
È urgente un intervento culturale, educativo e istituzionale. Le piattaforme social devono assumersi la responsabilità di monitorare e agire tempestivamente su contenuti pericolosi. Le scuole devono rimettere al centro l’educazione affettiva, il rispetto, la consapevolezza digitale. Le famiglie vanno sostenute, non lasciate sole. I giovani devono essere ascoltati, prima che siano inghiottiti da modelli tossici e narrazioni distorte.
Il silenzio non è più un’opzione. Ogni parola taciuta è un altro passo verso l’abisso. Martina non c’è più. Ma possiamo ancora impedire che il suo nome venga oltraggiato da chi non ha compreso nulla. E che altre ragazze, come lei, vengano lasciate sole davanti alla furia cieca del possesso.
Serve uno scatto di dignità collettiva. Ora.
