BAIANO. Per conoscere Giovanni Falcone. Il coraggio della solitudine e la forza dei propri ideali

BAIANO. Per conoscere Giovanni Falcone.  Il coraggio della solitudine e la forza dei propri ideali

La mappa concettuale sviluppata dalla dott.ssa Margherita Masucci, presidente dell’Azione cattolica – con riferimento al romanzo di Roberto Saviano- Solo è il coraggio, è stato uno dei fili conduttori del Forum del 23 maggio, dedicato alla Giornata della legalità, svoltosi nell’Auditorium del Giovanni XXIII. Il testo che si pubblica, ne costituisce l’impianto di commento.      

Come afferma, con efficace sintesi, Roberto Saviano, autore di Solo è il coraggio, quella di Giovanni Falcone è la storia di un uomo che resiste, che prova a fare la differenza. È la storia di un uomo, e di tanti uomini, che si rendevano conto che il Sud, il nostro Sud, viveva -e vive spesso tuttora- sotto ilun dominio tirannico delle organizzazioni criminali. È la storia di uomini che decidono di combattere il potere che più di tutti ha compromesso il nostro Paese e non solo. Lo fanno in un’epoca in cui – come scrive Roberto Savianola mafia era inquadrabile, secondo i più, come una serie di fenomeni criminali del tutto scollegati fra loro: quattro contadini dal grilletto facile e una manciata di rapinatori tendenti alla recidiva. Chinnicimaestro di Falconeda anni, invece, insisteva per attribuire alle mafie un carattere verticistico e inaugurò l’abitudine della riunione settimanale.

Prima del suo arrivo, la prassi era che ognuno seguisse l’indagine di cui era titolare; raramente, o piuttosto mai, c’era uno scambio di informazioni fra magistrati su fascicoli diversi.

‹‹ La mafia è cambiata, Giovanni. Questi qui non si fanno più problemi quando si tratta di … Lo sappiamo, no? Dobbiamo essere realisti. Ci ho ragionato molto. È importante che, nel caso in cui qualcuno dovesse cadere, se qualcuno di noi … ››

‹‹ Sì sì , ho capito ›› tronca Falcone.

‹‹ Ecco . In quel caso, le conoscenze che ognuno di noi ha accumulato non devono disperdersi. Se cade uno, non cade anche l’indagine. Se cade uno, sappiamo che prima di cadere ha passato il testimone. ››

Erano uomini coraggiosi, che si opponevano ad un intero sistema, con lo strumento del diritto, facendo indagini e mettendo sotto inchiesta le persone. Sapendo che tutto questo avrebbe portato un rischio. E ci si aspetterebbe che persone di questo tipo, che prendevano queste posizioni, decidendo di combattere le organizzazioni criminali, chiaramente fossero quantomeno sostenute. Ma non è andata così. Sono stati continuamente vessati, isolati, criticati, attaccati.

Falcone voleva maggiori responsabilità per avere più possibilità di trasformare la realtà, e invece veniva accusato di voler fare carriera. Fu bocciato come capo dell’Ufficio istruzione, fu bocciato al CSM (il Consiglio Superiore della Magistratura), fu bocciato come commissario straordinario antimafia … e l’avrebbero bocciato, se non fosse stato ucciso prima, come procuratore nazionale antimafia. In realtà, un uomo così geniale, così in grado di trasformare la realtà, è stato così incredibilmente sabotato.

Perché le mafie – come afferma Saviano – prima ti isolano, poi ti infangano, e poi ti ammazzano. E mica ti ammazzano e basta?! La maggior parte delle vittime viene infangata, diffamata. Neanche il cadavere rispettano. Perché se lo rispettassero, poi diverrebbe simbolo.

Ma da chi erano sabotati? Proprio da chi doveva essere dalla loro parte.

Sembra che questo Stato sia ammalato, che alcune sue cellule si rivoltino contro di lui, e che il suo sistema immunitario – gli uomini come Costa e Terranova, per esempio – sia un apparato residuale, messo all’angolo dal proprio stesso organismo. Lasciato solo, infiacchito. Eroso passo dopo passo, mutazione dopo mutazione, finché diventa complicato distinguere la parte sana da quella marcia. Il lavoro di sabotaggio delle cellule buone è scientifico e graduale. […]

BAIANO. Per conoscere Giovanni Falcone.  Il coraggio della solitudine e la forza dei propri idealiHa ragione quindi Giovanni Falcone a sentirsi quel coltello puntato alla gola. Non tanto per l’idea che qualcuno voglia farlo fuori – quella è un conto a parte, e non è un coltello ma un macigno, un’ipoteca inestinguibile sopra la sua vita con cui ha fatto la pace molti anni fa – quanto per la sensazione di appartenere a un organismo in cui le cellule guaste fanno di tutto per sabotare le sane, come nelle peggiori malattie.

Una scelta coraggiosa è spesso scomoda e, dunque, non è nemmeno compresa o accolta. Il coraggio porta alla solitudine, perché spesso si è i soli a pagare le conseguenze di una scelta coraggiosa.

Noi pensiamo che il coraggio sia qualcosa con cui si nasce muniti o sforniti. Non è così. Il coraggio si sceglie. Scelgo di essere coraggioso, nonostante la paura.

Falcone era un magistrato, un genio del diritto, che sceglieva di avere coraggio sapendo anche di correre rischi, sapendo anche che quella scelta avrebbe compromesso la sua serenità. Ma perché si sceglie di avere coraggio? Perché quel gesto lo consideri giusto, perché quel gesto se non lo realizzi, se non ci provi, il senso stesso della tua vita viene a mancare.

Il giorno prima di essere ammazzato Falcone lo ha passato a mettere in ordine le carte nel suo ufficio. […] si era incaponito, voleva lasciare le cose a posto e ha proseguito a oltranza. […] Era convinto che di lì a poco avrebbe cambiato ufficio. Che sarebbe diventato procuratore nazionale antimafia. Non ha mai smesso di sperarci, che le cose si sistemassero. Che gli dessero la possibilità di fare luce. Ma sul serio, stavolta. Una luce vera che disperdesse le tenebre e che permettesse a tutti di vederci chiaro. Ci aveva sperato molte volte, e ogni volta era rimasto sconfitto, tradito, umiliato. E allora ha continuato a sperare, più forte di prima. Non una sola volta, ma ripetutamente, senza sosta, nella sua formidabile ed eterna ossessione. Quello di un mondo senza più mafia era un pensiero che gli bruciava nel petto, e quando un pensiero abita i corpi, popola le menti, un giorno o l’altro popola anche la terra. Tutto questo, Paolo Borsellino lo sa. Anche lui è così. Ed è per questo che adesso prende a pugni il muro, dentro il salotto di casa sua, e che grida: “Giovanni! Giovanni!”, mentre le lacrime gli rigano le guance. Nemmeno lui ha mai smesso di crederci.

Soltanto che adesso si sente solo. Ed è inevitabile che sia così, perché solo è il coraggio.

Margherita  Masucci