L’Autonomia Differenziata: per il Sud Italia meglio la strada della secessione.

L’Autonomia Differenziata: per il Sud Italia meglio la strada della secessione.

L’Autonomia Differenziata: per il Sud Italia meglio la strada della secessione.di Fedele Valentino

Il 29 aprile scorso è approdato alla Camera il cosiddetto Testo sull’Autonomia Differenziata. Già precedentemente approvato al Senato, il testo è stato oggetto di dibattito nel silenzio assoluto della rete di informazione, in particolare della rai e dei giornali vicini alle posizioni governative. Quel che resta del centro sinistra (PD, M5S etc.) hanno provato in qualche modo a far valere la propria posizione contraria, sia nel dibattito alla camera che al di fuori della stessa, ma con scarsi risultati.

La maggioranza di governo ritiene, in particolare la Lega, che questa riforma sia essenziale per risollevare le sorti del Sud in quanto ne migliorerebbe i servizi e creerebbe un virtuosismo nella spesa pubblica. In sostanza la proposta, secondo la maggioranza, da un lato dovrebbe responsabilizzare le classi dirigenti del Sud rispetto all’utilizzo delle risorse e dall’altra consentirebbe, alle stesse, un rapporto migliore con i servizi erogati ai cittadini passando per una maggiore razionalizzazione della spesa. Inoltre, una volta approvata l’autonomia differenziata, le regioni del Sud sarebbero responsabili del proprio destino. In questo contesto, se al Sud i servizi non dovessero funzionare, ciò sarebbe imputabile solo all’incapacità di amministrare delle proprie classi dirigenti.

Quello che questa maggioranza omette di dire, purtroppo, èche non si tratta solo di questioni riguardanti la responsabilità delle singole classi dirigenti regionali, che pure sono importanti, ma soprattutto di questioni finanziarie e del relativo approvvigionamento per finanziare i servizi pubblici.

Con l’approvazione della Riforma sull’Autonomia Differenziata, le regioni meno sviluppate dal punto di vista economico non avrebbero, restando nell’ambito di uno stato unitario, la possibilità di poter finanziare i servizi essenziali. Di fatto arriveremo alla cristallizzazione della realtà esistente, dove i cittadini del Nord possono godere di maggiori servizi alla persona e di migliore qualità rispetto ai cittadini del Sud.

Di più ci sarebbe che, nei i primi cinque annidall’approvazione della riforma, il Sud potrebbe avere difficoltà a finanziare anche gli attuali, scadenti, servizi pubblici come la sanità, la scuola, ecc..

Di parere contrario all’attuazione di tale Riforma, sono le opposizioni di Centro Sinistra che in tutti i modi (sic!) cercano di far desistere il governo dall’approvazione, ricordando il grave danno che la stessa apporterebbe alle regioni meridionali ed ai suoi cittadini.

Quello che si rimprovera al centro sinistra è il fatto che all’Autonomia Differenziata contrappone solo una generica critica che riguarderebbe l’adozione dei Lep (livelli di prestazioni essenziali) prima dell’approvazione della riforma, senza indicare come finanziarli.

Intanto iniziamo con il prendere atto che in tutti questi anni di governo di Centro Sinistra, di Lep non si è mai parlato. Il centro sinistra al governo fin dalla riforma del 2001 non ha mai definito i Lep per il semplice fatto che costano troppo. Si stima che perpoterli adottare, lo stato dovrebbe trasferire circa 85 miliardi annuia favore delle regioni Meridionali.

Ora pensare che i cittadini del Nord oppure i corrispondenti governi regionali del Nord, possano essere d’accordo sul trasferire risorse, oggi distribuite nei loro territori, alle regioni del Sud per migliorare la qualità dei servizi, è una mera illusione.

Purtroppo, tutte le dichiarazioni dei vari governatori delle regioni del Nord vanno in senso contrario ritendo che le risorse delle regioni più ricche debbano necessariamente essere investite lìdove vengono prodotte ed indirizzate a migliorare i servizi per i propri residenti.

Dunque, come procedere affinché cittadini delle regioni del meridione abbiano gli stessi diritti dei cittadini delle regioni del Nord, nell’ambito di uno stesso stato, non è dato sapere, atteso che l’adozione dei Lep da un lato e l’autonomia differenziata dall’altra, non vanno nella direzione dell’intervento fin ora auspicato.

A questo punto sarebbe auspicabile per il Sud avviare un processo di indipendenza con la creazione di Autonomo Stato, piuttosto che restare intrappolati nelle sabbie mobili dell’attuale federalismo regionale o, peggio ancora, vedersi realizzata la cosiddetta Autonomia Differenziata.

Da più parti si è sempre sostenuto che l’autonomia differenziata sarebbe stata la “secessione dei ricchi” delle regioni del Nord ed è vero, se si resta in un’ottica di stato unitario. Se poi lo sguardo volge ad una effettiva indipendenza del Sud, attraverso la creazione di uno stato autonomo, la prospettiva dal punto di vista dell’approvvigionamento delle risorse finanziare, per il Sud, cambierebbe radicalmente.

Dal 2001, anno del federalismo fiscale introdotto dal centro sinistra, ad oggi il Nord ha drenato dal Sud, nell’indifferenza di tutti i partiti politici presenti in parlamento, circa 880 miliardi di euro (dati Svimez). A questi vanno aggiunti i fondi per la coesione delle aree depresse che il governo italiano, ha più volte stornato a favore delle aree di crisi del Nord a danno degli investimenti nelle regioni Meridionali, che sono di circa 5/6 miliardi annui a partire dalla crisi finanziaria del 2008. (dati ISTAT)

Per non parlare del PNRR che avrebbe dovuto stanziare risorseper il 40% allo sviluppo del Sud e che ad oggi, stando agli attuali parziali dati del governo, sono ferme a circa il 16% e si pensa di arrivare ad un massimo del 21% entro il 2026 anno di ultimazione del PNRR.

Nel calderone dei trasferimenti non sono poi ricompresi i fondi derivanti dai vantaggi del sistema finanziario assicurativo che per l’area del centro Nord prevede condizioni di maggior favore, come la possibilità di poter procedere al credito a tassi di interessi più vantaggiosi. Così come i piani di investimento sul medio lungo periodo, che prevedono per i prossimi dieci anni investimenti pubblici e privati al Sud per un importo pari ad un terzo di quelli destinati al Centro Nord. (dati stima Banca d’Italia. Oppure le risorse delle aziende a partecipazione statale che operano nelle regioni del Sud ma che versano le imposte in quelledel Nord perché avente sede legale in quei territori. Così come le forniture ed i progetti di sviluppo nel settore del green, oggi essenzialmente affidate ad aziende del Nord. E potremmo continuare ancora nel dettagliare i motivi per i quali da 160 anni il Sud viene considerato dal punto di vista economico e finanziario alla stregua di una colonia.

Per quanto concerne poi il debito pubblico, lo stesso dovrebbe seguire la ripartizione proporzionale dell’attuale sistema di trasferimento finanziario delle risorse pubbliche, ossia dovrebbe essere all’80% al centro Nord ed il 20% al Sud.

Questa, ovviamente, è solo una stima molto approssimativa, ma rende bene l’idea di come il Sud potrebbe avere più certezze dalla propria economia di stato, con una capacità di prospettiva futura diversa e sicuramente migliore di quella attuale se solo dovesse decidere di indirizzarsi verso una vera e propria creazione di uno stato autonomo.

Oggi il sud, indipendentemente dall’attuazione dell’autonomia differenziata non può guardare al proprio futuro se non con lo spirito di chi rimarrà per sempre costretto a vedere i propri figli ad emigrare abbandonando la propria terra.

Certo la secessione del Sud, non è un processo breve. Ci sarebbero di sicuro degli stravolgimenti politici istituzionali oltre che sociali ma potrebbe essere la scintilla per cambiare questo stato di cose e svegliare le coscienze del governo centrale e del parlamento nella sua interezza.

Tutti coloro, in primis il Presidente della Repubblica Mattarella, che oggi fanno appello all’unità dello Stato, dovrebbero ricordare che l’unità non la si annuncia o si dichiara per legge (da 160 anni), ma la si realizza dando gli stessi diritti a tutti i cittadini dello Stato, indipendentemente dalle aree geografiche di appartenenza.