Il segretario Cisl della Campania per l’Università relaziona nell’ambito delle iniziative “Per la nuova Primavera delle Università”

Il segretario Cisl della Campania per lUniversità relaziona nellambito delle iniziative Per la nuova Primavera delle Università

Pubblichiamo la relazione svolta da Carlo Melissa, segretario generale della Cisl della Campania per l’Università, nell’Aula “Carlo Ciliberto” del Complesso della “Federico II” Monte Sant’Angelo di via Cinthia, a Napoli. La relazione è stata sviluppato nell’ambito delle iniziative “Per la nuova Primavera delle Università”, promossa dalla Conferenza dei Rettori degli Atenei italiani, presieduta da Gaetano Manfredi

Ecco la relazione:

Buongiorno a tutti, un particolare ringraziamento al Magnifico Rettore, Gaetano Manfredi, per il privilegio che ha voluto riservarmi, nel darmi la possibilità di parlare a questa assemblea, a nome del personale tecnico amministrativo dell’Ateneo. Ritengo questa circostanza un importante momento di sintesi, oltre ché l’occasione per ponderare ed individuare nuovi obiettivi. Credo che lo sia anche per tutti coloro che interagiscono con l’Università, per le famiglie, che si aspettano dall’Università riferimenti educativi e di alta formazione, per gli studenti, i docenti e tutto il personale tecnico-amministrativo.

La componente tecnico-amministrativa del mondo universitario è sottoposta ad una seria pressione da diversi anni ed ormai vive una fase storica caratterizzata da norme, lacci e lacciuoli in grado di generare la totale perdita della propria motivazione. Tuttavia, sebbene circoli l’idea che l’indebolimento del mondo universitario sia un disegno preciso, vogliamo pensare che si tratti solo di miopia e che prima o poi qualcuno si renderà conto che la rotta va cambiata.

Da diversi anni subiamo il blocco contrattuale con una pesante contrazione della retribuzione, la limitazione nelle assunzioni che sbarra la strada ad una speranza lavorativa per tanti giovani, l’interruzione della crescita di carriera che elimina l’ambizione alla realizzazione professionale, la limitazione delle risorse destinate alla formazione. E così, da un lato si chiede al personale di lavorare in un contesto sempre più complesso, caratterizzato dal continuo evolversi di norme e nuovi approcci gestionali, gli si aumentano i carichi di lavoro a causa delle riduzione delle unità assunte, e gli si chiede di migliorare in continuazione il servizio offerto, dall’altro lato si impone ai dipendenti pubblici di fare sempre meglio il proprio lavoro e di imparare da soli.

Tutte le limitazioni imposte dalle ultime norme sul pubblico impiego alla fine stanno determinano l’effetto opposto a quello sperato ed impediscono alla componente del personale tecnico-amministrativo di dare il proprio contributo, insieme a tutte le altre componenti, a far si che il mondo universitario diventi volano per lo sviluppo culturale ed anche economico del nostro paese.

Nel Mezzogiorno la situazione è ulteriormente aggravata dall’arretratezza nello sviluppo economico e nella qualità dei servizi. Si tratta di un gap che ormai è noto a tutti e che deve essere necessariamente rimosso. Nel contesto economico che caratterizza l’attuale mezzogiorno è difficile pensare a grossi investimenti da parte di fondi privati.

Tuttavia l’investimento pubblico nel Mezzogiorno non deve essere inteso con la logica superficiale e generalista di sperpero. Noi meridionali non abbiamo certo voglia di piangerci addosso. Abbiamo tutta la voglia di migliorare, tutta l’energia per impegnarci a farlo e tutta la preparazione necessaria ma il contesto dal quale muoviamo non è per niente agevole.

Bisogna cambiare punto di vista ed intendere quell’investimento statale non più come punto di arrivo ma come punto di partenza, come propulsore per innescare una crescita che possa cominciare ad erodere il gap fra università settentrionali e università meridionali. Un investimento che sul lungo periodo partendo dal mondo della cultura e della ricerca possa portare benefici all’intero sistema economico ed all’intera società.

Naturalmente, è importante che tutte le università interagiscano e creino una rete caratterizzata da obiettivi comuni. La misura delle difficoltà che si sono presentate, è risultata evidente soprattutto nel confronto con colleghi di altre Università, le quali già da tempo avevano adottato criteri di programmazione e di autovalutazione che li hanno resi più virtuosi, precorrendo a volte lo spirito riformatore della norma, determinando una distanza organizzativa e professionale difficile da colmare.

Probabilmente, l’orgoglio che fa parte dell’indole di ogni Campano, prima ancora che di ogni italiano, hanno giocato un ruolo fondamentale per non tirarsi indietro, di fronte alla consapevolezza di dover faticare non poco, per ricollocarsi nella giusta dimensione del mondo del lavoro più evoluto, per recuperare la professionalità necessaria per stare al passo con i tempi nuovi, scanditi dalla riforma universitaria, per difendere la dignità di uomini e donne che vogliono lavorare bene e dare modo alle generazioni future di ereditare un’organizzazione efficiente e produttiva, sotto ogni punto di vista…….

Quest’anno ricorre il centenario della nascita di MORO, il quale diceva: “il Sindacato sorge per la migliore tutela dei diritti del lavoro e la più piena attuazione del dovere umano e sociale di lavorare.”

Posso affermare con piacere, ed altrettanto orgoglio, che in quest’ultimo biennio tanto è stato fatto in questo senso, grazie alla nuova Governance della Federico II e dal senso di responsabilità che le organizzazioni sindacali, in particolar modo della FLC-CGIL, CISL UNIVERSITA’ e UIL-RUA, che hanno accettato la sfida che il nostro Rettore e Presidente della CRUI, come si evince tra l’altro da questa iniziativa nazionale, ha messo in campo.

Certo, molto c’è ancora da fare. E’ qui sorge un’ennesima sfida, che è quella della capacità dei nostri Atenei di interagire con le aziende situate nel territorio da una parte, e dall’altra, la capacità dell’Università, attraverso i propri Docenti e Ricercatori, di competere, a livello Europeo ed Internazionale al fine di ottenere finanziamenti per i progetti di ricerca che vengono di volta in volta elaborati.

E’ necessario considerare il lavoro di quanti si prodigano quotidianamente, per offrire un elevato livello formativo agli studenti, i quali ripongono in questa università la propria fiducia, e che si aspettano di ricevere la formazione adeguata per poter realizzare le proprie aspettative al meglio, nell’ambito del mondo del lavoro.

Il nostro Paese, negli ultimi anni, si è caratterizzato per scelte governative, indipendentemente dal quadro politico, che hanno prodotto, in controtendenza rispetto a quanto è accaduto in altri Paesi, profondi tagli agli investimenti nel campo della conoscenza e della cultura.

E un Paese che non punta sulla conoscenza e sulla cultura per determinare il suo sviluppo economico, sociale e culturale è un Paese che non cresce ed è destinato al fallimento.

La mancanza di risorse finanziarie non consente lo sviluppo della ricerca di base e, quindi, del sapere critico, né permette di assicurare un’eccellente qualità dell’offerta formativa ad una Università che si vuole integrare con il territorio o, meglio ancora, che vuole mettersi al suo servizio con un patto di virtuosi intenti. Un carente trasferimento tecnologico o di innovazione produce perdita di competitività da parte delle imprese locali e, quindi, depauperamento del tessuto produttivo e, conseguentemente, anche del lavoro.

La “fuga dei cervelli” determina impoverimento culturale e del capitale umano. Per rilanciare il patto Università-Territorio la prima condizione da realizzare è, pertanto, invertire la rotta e puntare su più cospicui investimenti pubblici nel campo della ricerca e della formazione.

Sulla spinta delle diverse “controriforme” dell’Università si è passati da una proliferazione dell’offerta formativa di berlingueriana memoria, che ha prodotto talvolta corsi di studio o discipline di dubbia utilità finalizzati solo a creare appetibili cattedre, a una governance gelminiana delle stesse Università affidate a “uomini soli al comando” che, accentrando tutto il potere nelle loro mani, non sempre hanno garantito il bene comune e favorito l’idea di Università dedita a integrare le vocazioni del territorio.

Troppo spesso nelle Università l’originale mission viene dimenticata a favore di logiche individualistiche. Anche nella programmazione del fabbisogno di personale spesso sono trascurate le esigenze di un razionale potenziamento degli organici, finalizzato a garantire un’offerta didattica esaustiva che non costringa gli studenti a migrare verso altri lidi, per soddisfare, viceversa, istanze carrieristiche di una parte del corpo docente.

In questa logica sono ampiamente trascurate anche le sacrosante esigenze degli studenti che auspicherebbero, invece, di poter affrontare percorsi formativi che li accompagnino verso sicuri sbocchi occupazionali e di poter usufruire di servizi efficienti.

In realtà, invece, devono scontrarsi con apparati tecnico-amministrativi insufficienti o scarsamente attrezzati e non all’altezza dei tempi e delle necessità. Così come anche le biblioteche o i vari laboratori sono spesso privi del personale e delle risorse necessarie ad assicurare servizi adeguati all’utenza e alla ricerca.

Un senso di comunità aperta e non più autoreferenziale, pronta a interfacciarsi con gli attori sociali esterni i quali, a loro volta, dovrebbero possedere una più attenta sensibilità verso le istanze dell’Università che non può essere intesa come terra di conquista o da saccheggiare.

Il territorio dovrebbe essere, a sua volta, teso a valorizzare quel grande patrimonio che l’Università rappresenta per l’intera comunità sociale.

Enti pubblici e privati dovrebbero essere disponibili a fornire quelle risorse il cui saggio utilizzo non potrebbe che trasformarsi in una ricaduta positiva sullo stesso territorio.

Un altro punto cardine che non può e non deve essere messo in secondo piano, come purtroppo spesso avviene, è la Sanità Universitaria e le problematiche connesse ai rapporti con il servizio sanitario nazionale, con particolare riferimento alle tematiche relative all’accesso alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, delle Scuole di Specializzazione dell’area medica e dei Protocolli d’intesa tra i nostri Policlinici e la Regione Campania.

Le nostre Aziende Ospedaliere Universitarie sono state sempre escluse dallo sblocco del Turn-over, dal Precariato, e questo certamente non facilita i posti letti che servono per non diminuire la nostra offerta formativa, le nostre eccellenze nel campo sanitario (e ne abbiamo tantissime).

Discorso analogo vale per un’altra Eccellenza presente a Napoli (Suor Orsola Benincasa) ed anche verso questa Istituzione vengono riservati gli stessi trattamenti di poca considerazione delle Istituzioni politiche nazionali e regionali, anche qui con tagli alle già poche risorse pubbliche che riceve.

E come dimenticare il mondo dell’Alta Formazione Artistica Musicale(AFAM) che ha dato lustro al Mondo intero (Conservatorio San Pietro a Majella,  che ha visto tra gli altri studenti il Bellini, e diretto dal Donizetti, e l’ Accademia delle Belle Arti), la cui riforma(L. 508/99) è bloccata oramai da anni e nulla viene fatto per addivenire al Sua definitiva conclusione.

E tutto questo senza che nessuno muove un dito. Fortunatamente anche queste istituzioni vivono di luce propria, ed infatti ci sono dei corsi che vengono presi d’assalto (vedi Fashion design).

Voglio però concludere con una esortazione forte e convinta a tutti noi qui presenti, come dice in questi giorni di Anno giubilare della Misericordia il nostro Papa: “ALZATI”, per queste ragioni, Cara Comunità Universitaria, alzati e porta avanti con tutte le forze che sono del Sapere, della Conoscenza e dell’Innovazione, e che siano il volano del nostro Territorio.