
a cura di don Riccardo Pecchia
Oggi 21 luglio la chiesa celebra san Daniele profeta, ultimo dei quattro profeti detti maggiori, nacque probabilmente a Gerusalemme da famiglia nobile giudea, fu deportato a Babilonia da Nabucodonosor, insieme con altri giovani dello stesso rango sociale, nell’anno terzo o quarto di Ioakin, re di Giuda, cioè il 606-605 a.C. A Babilonia fu scelto con altri tre giovani nobili giudei, Anania, Azaria e Misaele, per essere ammesso, dopo una conveniente preparazione di tre anni nella lingua e negli usi dei Caldei, alla corte del re, per assolvere incarichi ufficiali onorifici. Secondo l’uso, fu loro cambiato il nome: a Daniele, che poteva avere allora dai 15 ai 20 anni, si diede quello di Baltassar. Con i suoi compagni fu
presentato al re al quale fece ottima impressione, non solo per la sua prestanza fisica, ma soprattutto per le doti di spirito che in lui il re poté ammirare quando, avendolo esaminato, trovò scienza e intelligenza dieci volte superiori a quelle di tutti i suoi magi e indovini (Dan 1,20). Ammesso pertanto alla corte, dopo che ebbe dato saggi non equivocabili, anzi, sbalorditivi, della sua rettitudine, fu fatto principe di Babilonia e prefetto su tutti i sapienti del regno; dietro sua richiesta, anche i compagni, Anania, Azaria e Misaele, ebbero posti onorevoli e cariche di responsabilità nella provincia, mentre egli rimaneva a palazzo presso il re (Dan 2,46-49). Il primo saggio della sua probità e saggezza, quando Daniele esordisce come profeta è nella causa di Susanna: bellissima ragazza, viene notata da due vecchi che frequentano la casa di suo marito mentre fa il bagno nel suo giardino. Costoro sono appena stati nominati giudici e, infiammati di lussuria, si fanno sotto con proposte infami, minacciando di accusarla presso il marito di averla sorpresa con un giovane amante, se non si concede a loro. Al rifiuto di Susanna l’accusano pubblicamente di adulterio. Portata davanti al tribunale viene riconosciuta colpevole e condannata a morte mediante lapidazione, ma a questo punto si fa avanti Daniele, che è presentato in questo episodio in giovane età (Dan 13,45), circostanza che rende tanto più ammirevole la sua maturità di giudizio, in contrasto con la fatuità e corruzione dei due giudici anziani. Daniele interroga personalmente i due calunniatori e ne fa emergere l’inganno, acquistando fama presso il suo popolo, cioè gli esuli giudei, il cui numero era nel frattempo aumentato, con la seconda deportazione del 598. Pochi anni dopo Daniele interpretò un sogno di Nabucodonosor, quello dell’albero sano e rigoglioso che, anche se reciso, riesce a crescere più forte di prima. Il significato che egli fu in grado di decifrare era riferito principalmente al Re: l’albero, infatti, è simbolo del sovrano che, a causa della troppa superbia, sarà fatto decadere per volere di Dio, l’unico in grado di governare sugli uomini in modo saggio e giusto. Questo fu uno degli eventi più importanti che scosse la popolazione: Dio, finalmente, venne considerato come il vero salvatore dell’umanità. Daniele ebbe molteplici visioni nel corso della sua vita che fu in grado di interpretare come veri e propri messaggi divini, non solo di Dio, ma anche degli angeli. Dedicò la sua vita alla povera gente, tra cui vedove e orfani, cercando di insegnare loro la misericordia, il perdono e l’amore. L’ultima visione la ebbe a 80 anni, quando ormai l’impero babilonese era crollato a favore del nuovo impero persiano, evento che lui stesso aveva profetizzato a seguito di una visione. Da quello che si apprende dallo stesso Libro di Daniele, egli morì di vecchiaia.


