L’aglio orsino, ricercato dal Partenio alle Alpi: intervista a un residente della Val Camonica, su erbe, funghi e tutto ciò che la montagna offre.

L’aglio orsino, ricercato dal Partenio alle Alpi: intervista a un residente della Val Camonica, su erbe, funghi e tutto ciò che la montagna offre.

di Valentina Guerriero

Nei mesi primaverili si scatena, nelle nostre zone, la “febbre dell’aglio orsino”: in molti ne vanno alla ricerca, per produrre un pesto con le foglie di questa pianta dallo splendido fiore bianco che si sviluppa tra marzo e giugno. La raccolta è ovviamente soggetta a precise regolamentazioni per non danneggiare la flora del parco, in ogni caso, l’aglio orsino abbonda ovunque nei nostri monti, in particolare se ne possono vedere splendide distese a Forcetelle o al Vallatrone.
Ma la raccolta e la produzione di aglio orsino, di cui si fregia il territorio di Avella, in realtà non è una prerogativa del Partenio, si tratta di una spezia molto diffusa e conosciuta in tutta Italia. È per questo che si è pensato di intervistare un rappresentante della Val Camonica sull’abitudine e la tradizione di raccogliere erbe in montagna, in modo da confrontarci con loro sugli utilizzi dell’aglio orsino e di altre varietà di piante. Il nostro intervistato, Nicolò, è un ragazzo laureato in Relazioni Internazionali, ma molto esperto nella raccolta di erbe e funghi, di cui va alla ricerca regolarmente. Buona lettura!

L’aglio orsino, ricercato dal Partenio alle Alpi: intervista a un residente della Val Camonica, su erbe, funghi e tutto ciò che la montagna offre.

Ciao Nicolò, innanzitutto grazie per aver accettato questa intervista. Ti ho nominato spesso l’aglio orsino, e tu sapevi già di che si trattava. Lo raccogliete anche in Val Camonica, mi hai detto, insieme ad altre erbe. Quali erbe raccogliete? 

Ciao Valentina! Sì, anche qui da noi l’aglio orsino è oggetto di raccolta, insieme a molti altri frutti della terra. Le erbe ricoprono un ruolo di primissimo piano, tanto che in passato erano parte integrante della dieta di pressoché tutte le famiglie del posto, partendo da quelle più povere e salendo la scala sociale sino a quelle benestanti. Negli ultimi decenni hanno riguadagnato una certa popolarità, tornando a interessare parecchi appassionati. Stilarne un elenco esaustivo è piuttosto difficile, data la loro numerosità, ma volendo esemplificare ti indicherei senz’altro il tarassaco (erroneamente noto come “cicoria“), la selene inflata (o “verzelli“), l’ingiustamente bistrattata portulaca, il romicefarinelli e friarelli (una variante selvatica delle cime di rapa), il famoso crescione, gli asparagi, le biete selvatiche, per non parlare poi della triade composta da mentamalva e camomilla, utilizzate per decotti e tisane. Meritano una menzione anche i cardi, presenti ad alta quota, e persino i licheni, che in tempi lontani erano protagonisti di una sorta di “insalata alpina”, molto spartana ma non per questo meno nutriente di quelle a foglia verde o rossa.

Citerei anche le ortiche e il luppolo, che trovano posto nella preparazione di alcuni piatti, a partire dai risotti.

Infine, last but not least, aggiungerei la pappa del cuculo: è un trifoglio selvatico che cresce ai piedi dei pini, e che ha incantato generazioni di bambini grazie a una leggenda che la vorrebbe assai gradita dai cuculi. È ottima consumata come merenda, condita con un pizzico di sale, abbinata magari a uova alla coque e salume casalingo.

È rischioso raccogliere erbe?

In alcuni casi può esserlo, ne esistono di tossiche o addirittura di velenose, e non di rado vengono credute commestibili. Il nemico numero uno è il napello: le cronache sono piuttosto frequentate da incauti raccoglitori (e consumatori) di quest’erba velenosa, spesso scambiata per ben altre specie edibili, e che può portare a conseguenze gravissime – come il trapianto di fegato – e financo alla morte. Pensa che persino le mucche, durante il pascolo, ne stanno il più alla larga possibile!

Chi ti ha insegnato a raccogliere erbe?

Avevo uno zio, scomparso di recente, che era una vera e propria enciclopedia vivente delle erbe, e che mi ha introdotto a questo bel mondo. Pure mia madre è molto ferrata in materia, essendo cresciuta in un contesto rurale-montano in cui, giocoforza, si doveva profittare di ciò che offriva la natura. Non posso poi non menzionare mia nonna, che oltre alle erbe e ai funghi preparava un eccellente infuso di camomilla, avvalendosi di quella selvatica che cresceva tra i sassi del selciato di casa e nei prati vicini.
A loro aggiungerei un insegnante di biologia che veniva in villeggiatura in un borgo vicino, e che era arrivato a cucinare un’ottima minestra con ben 26 diverse specie erbacee da lui raccolte. Chissà che non abbia battuto qualche record!

Che uso fate in valle dell’aglio orsino? Qui se ne estraggono i bulbi e usato come un normale aglio (soluzione poco adottata, poiché è vietato estirparlo) oppure se ne fa un pesto con le foglie, messo in barattoli di vetro con olio e sale.

Il pesto d’aglio orsino si fa pure qui, anche se non è così frequente. Più spesso è adoperato come succedaneo dell’aglio tradizionale, oppure viene aggiunto ad alcuni sughi per la pasta. Ne ho visti impiegati foglie e bulbi nelle minestre, ma anche in frittate d’uovo molto saporite, oppure in alcune zuppe miste dal sapore primaverile. So anche di gente che lo usa per le bruschette, o per contorniare certi formaggi piccanti. Non dimentichiamone poi le note proprietà medicinali, tanto che vi si ricava un olio dalle proprietà antibatteriche e depurative.

La raccolta, inoltre, assurge a vero e proprio rito sociale: si svolge soprattutto nei boschi verso metà primavera, in gruppo, e al termine di ogni giornata viene coronata da una piccola merenda collettiva o da un buon bicchiere di vino da consumare insieme, entrambi ottimi addensanti di relazioni interpersonali. L’importante, però, è non esagerare in termini di quantità raccolte: in alcune province è stato stabilito un limite pro capite di bulbi e foglie prelevabili, dato l’alto rischio di rovinarne l’habitat.

Le erbe che raccogli più volentieri? Che utilizzo ne fate? Mi hai detto che in precisi periodi dell’anno andate a raccoglierne alcune. Quali sono?

Stai parlando con un aficionado del tarassaco: lo raccolgo più volte all’anno tra primavera e inizio autunno; in annate recenti l’ho raccolto anche a fine ottobre, trovandolo piuttosto buono (anche se appena più duro di quello primaverile). Lo cucino soprattutto lessato e condito con olio, sale e un sussurro di aceto; un’altra possibilità consiste nel prepararlo fritto in padella, aiutandomi con della pancetta. Oltre al tarassaco adoro verzelli, romice e friarelli, che spesso compongono delle insalate miste, o vengono usate come contorno ad altre pietanze.
Per tutti, come già detto, il periodo di raccolta prediletto è quello medio e tardo primaverile, con una coda importante tra fine estate e inizio autunno.

E asparagi, ne trovate?

Certo, soprattutto a primavera: crescono vicini a quelle che chiamiamo “le sede”, cioè quei muretti a secco che segnano il confine tra bosco e prato.

Per quanto riguarda i funghi, mi hai detto che non vi limitate a raccogliere porcini e specie più comuni, ma avete una conoscenza di moltissimi funghi. Mi fai qualche esempio? Come è scandito il calendario annuale della raccolta dei funghi?

Provo a fare un po’ di ordine, seguendo un criterio cronologico di raccolta: si inizia a marzo/aprile con le spugnole, poi a maggio si passa ai prataioli, accompagnati da russule e verdoni.
Giugno è il mese dei porcini, o boletus, che sono i protagonisti indiscussi dell’epos micologico locale: qualititivamente sono secondi solo ai rarissimi ovoli, e mentre i primi entrambi si trovano sino a inizio autunno, i secondi appaiono solamente in luglio, assieme alle ottime mazze di tamburo. Ad agosto/settembre arrivano i finferli, imparentati con i porcini, e poi i funghi dell’inchiostro. L’autunno è il periodo dei funghi del pane, e soprattutto dei sempiterni rivali dei porcini: i cosidetti chiodini, ottimi anche sottolio e con chiodi di garofano. A chiudere la stagione troviamo l’agrogybe cylandracea, che cresce a novembre inoltrato sui tronchi dei pioppi, apprezzabile pur’esso sottolio.

Quali sono, tra i meno comuni, i più interessanti, a tuo parere? Come li cucinate?

Ce ne sono davvero tanti, ma quelli che sto riscoprendo sono i funghi del pane, apprezzatissimi nei sughi come “spalla” di altri più blasonati, ma che rendono tantissimo se messi sottolio o sottaceto, meglio se con l’aggiunta di polvere d’aglio.

Ci sono altri prodotti della montagna che vale la pena di citare? Ad esempio, qui molti si dedicano alla raccolta di castagne selvatiche in inverno e di more in estate. Le castagne selvatiche, però, non hanno il sapore delle castagne acquistate, sono più piccole e meno dolci.

La Valle Camonica è la patria delle castagne, soprattutto nella sua porzione medio-alta! Le raccolgo molto volentieri, unitamente ai tanti frutti di bosco presenti in loco: moremirtillilamponifragoline, ma anche l’uva spina. Più raro, ma non introvabile, è il ribes.
Quando si parla di boschi, inoltre, va fatta una considerazione: essi sono un vero e proprio ecosistema a tutto tondo, e non solo a livello ecologico e alimentare. In passato, infatti, fornivano risorse di ogni tipo, come la paglia per fabbricare sedie, il sottobosco per imbottire i materassi, oppure la legna da riscaldamento e addirittura le pietre focaie. Persino le felci trovavano una loro collocazione nell’artigianato saponifero. Il bosco forniva risorse e al tempo stesso temprava lo spirito, finendo per diventare teatro di quella particolarissima filosofia di vita che, in altri contesti, ha prodotto autori del calibro di Thoreau.

Discendi da una famiglia di allevatori, se non erro. Quali formaggi producevate? Li producono ancora? Quali sono i formaggi più diffusi in zona?

La famiglia di mia madre annoverava alcuni agricoltori, specializzati soprattutto nell’allevamento di bovini, con relativo cascame produttivo di ordine lattiero-caseario. I formaggi che producevano erano soprattutto il silter, a pasta dura, il più morbido stracchino, e anche il cadolet, prodotto a pasta tenera tipico della zona. A ciò si aggiungevano anche latte crudo e burro, oltre al cosidetto fiurit, che è una squisita crema di latte dai molteplici usi alimentari. Purtroppo devo declinare al passato l’intero discorso, perché nel giro di pochi anni sono venuti a mancare quasi tutti e l’azienda si è ridotta a operare prevalentemente con finalità di autoconsumo.

Chi ha insegnato a tua madre a raccogliere erbe? Puoi raccontarci qualche suo ricordo delle sue abitudini da bambina e da ragazza?

I suoi mentori furono i genitori e alcuni zii, nel solco di una tradizione che datava molte generazioni, e che si tramandava tramite lunghe sessioni di raccolta.

Un aneddoto è quello legato alle già citate mazze di tamburo: quando lei e i suoi fratelli andavano per funghi, erano stati abituati a distruggerle con un bastone, essendo assai diffusa in loco la convinzione che fossero velenosi. Nulla di più falso! Fu un loro zio, che lavorava come cuoco, a far ricredere l’intera famiglia, servendole trifolate in occasione di un indimenticato pranzo domenicale. Da quel momento in avanti, in casa loro, le mazze di tamburo divennero una delle pietanze più gettonate e attese.

In che zona andate?

Le nostre zone preferite sono la bassa Valle Camonica e l’alto Sebino; quando le nevi si sciolgono andiamo anche nelle frazioni montane di Pisogne.

Quando ti ho accennato della riproduzione dei rospi, anche di ciò ne sapevi molto. Da voi, preservare la specie Bufo bufo è molto importante. Mi dicevi che vengono chiuse anche delle strade per permetterne il passaggio. Mi racconti qualcosa di più?

I Bufo bufo sono diventati un’attrazione locale, soprattutto sul lago di Endine, che è situato appena fuori dalla valle; durante il periodo primaverile si verifica la cosiddetta migrazione degli anfibi, che oltre ai succitati coinvolge anche rane, salamandre, tritoni crestati e altre specie, e che li vede attraversare la strada  statale per andare a completare il proprio ciclo riproduttivo. Visto l’alto numero di Bufo bufo coinvolti, in alcuni casi superiore alle 20.000 unità, sono state apprestate delle operazioni notturne di salvataggio, che prevedono anche la chiusura temporanea dei tratti di strada interessati; si sono costituiti persino dei gruppi di volontari impegnati a evitare che questi simpatici animaletti vengano investiti dalle auto.

Grazie per la tua intervista!

Grazie a te, ti aspettiamo in Valle Camonica!

L’aglio orsino, ricercato dal Partenio alle Alpi: intervista a un residente della Val Camonica, su erbe, funghi e tutto ciò che la montagna offre.

Friarielli (brassica juncea)

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Tarassaco (cicorie)

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Verzelli (silene infilata)

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Cardo