La nota critica della professoressa Alberta De Simone all’ultima silloge “D’infinito e di te”, di Lucia Gaeta

La nota critica della professoressa Alberta De Simone all’ultima silloge Dinfinito e di te, di Lucia Gaeta

Commentare la nuova raccolta di poesie di Lucia Gaeta è per me fonte di profonda emozione.

I suoi versi possiamo definirli “esistenziali” in quanto parlano della sua vita interiore e al sentire di tante altre vite, rappresentano la funzione catartica dell’arte. Dinanzi al dolore di un abbandono inaspettato e lacerante Lucia si allontana dai ritmi imposti dal quotidiano, fatto di lavoro, di orari, di corse, prende una penna ed esprime con parole che le suggerisce il cuore i suoi stati d’animo che, nella raccolta precedente, sono dolorosi e persino angoscianti ed ora risultano diluiti in un sentire nostalgico.

L’autrice ha vissuto intensamente la sofferenza, ne è uscita indagando nell’anima, ha preso una lente di ingrandimento e ha guardato dentro di sé, ha trovato dolore, molto dolore, ma anche una valvola di sfogo, una via d’uscita nella scelta di tradurre le emozioni in poesia.

Nella raccolta “D’infinito e di te” il dolore è visto in lontananza, superato in una sorta di nostalgia. Lucia sente questa nostalgia, la vede e la descrive con versi toccanti. Del titolo mi sembrano particolarmente significative le prime due parole “D’infinito”. Il concetto di infinito evoca Leopardi e il canto dell’infinito, il poeta è prigioniero in un borgo arretrato, barbaro, è seduto dietro una siepe che gli impedisce di guardare l’orizzonte, ma, sedendo, mirando e guardando, immagina infiniti silenzi, interminabili spazi e profondissima quiete. Leopardi evoca la condizione del naufrago – il naufragar m’è dolce in questo mare -. Il naufrago è uscito da una barca, il naufrago non sa se si salva, nuota ma non sa dove va.

Il dolore di Lucia assomiglia al sentire di chi, dopo il naufragio, non ha più la sua barca e non sa se le onde la travolgeranno o se riuscirà a salvarsi. Le prime parole del titolo parlano della funzione salvifica della poesia.

La poesia è l’approdo ad un lido riposante, lo è per chi la compone, lo è per chi la ama, la recita, la impara a memoria. Il più grande poeta tedesco, Wolfgang Goethe, dice che la poesia è il cielo dei popoli. Cosa è l’uomo se il suo sguardo non si alza verso il cielo, se è rivolto sempre e soltanto per terra? Cosa consente alla donna, all’uomo di sollevarsi dalla mediocrità se non il cielo? La poesia è il cielo dei popoli, i popoli che amano la poesia sono anche i popoli più avanzati, più civili. L’Italia (aveva ragione Metternich) era soltanto una espressione geografica, non esisteva, era divisa in piccoli stati, oppressa da conquistatori al sud, al centro, al nord, di fatto per secoli non esisteva. I nostri grandi poeti hanno consentito che esistesse, che nascesse. Dante dedica il sesto del Purgatorio all’Italia, Petrarca canta l’Italia, Leopardi scrive la più bella tra le canzoni patriottiche, un inno all’Italia. Alla fine del Settecento, quando non eravamo nessuno, un meridionale capita in un bar a Milano (dominio austriaco) e qualcuno gli chiede: “Non sei milanese, chi sei, sei forestiero?” Lui risponde: “Vengo dal meridione, non sono forestiero”. E ancora: “Ma come, qui siamo a Milano, tu vieni dal Sud e dici che non sei forestiero?” E lui: “non sono forestiero, sono ITALIANO”. Questo racconto è di Giancarlo Carli pubblicato quando l’Italia non c’era sulla terra, era nel cielo e nella poesia. I popoli, quando non c’era la televisione e il Web e gli smartphone, vivevano di poesia. Le poesie si recitavano a Natale, alle feste, ai compleanni e si viveva con grande attenzione all’emotività.

Lucia è dotata di grande sensibilità e questo le consente di compiere un percorso che si sviluppa lungo una traiettoria tipica delle donne moderne, un cammino che porta alcune più lentamente, altre più velocemente verso la liberazione, la libertà femminile. Il suo modo di procedere le consente di chiudere una porta e spalancare un portone, il portone delle emozioni la conduce ad intravedere un’altra vita possibile, una nuova speranza. Il merito di chi scrive poesie è insegnare ad una società sorda o prevalentemente assorbita dalla finanza e dalla matematica a prendersi cura della persona umana, della sua esistenza che è anche segnata dall’emozione e dal sentimento.

Alberta De Simone

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