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Roma, 10 settembre 1960 – La maratona olimpica disputata tra le vie e i monumenti millenari della capitale resterà per sempre scolpita nella memoria collettiva come la corsa che ha consegnato al mondo la leggenda di Abebe Bikila.
L’atleta etiope, all’epoca sconosciuto al grande pubblico, ha conquistato l’oro correndo a piedi nudi i 42 chilometri del percorso romano, dal Campidoglio fino all’arrivo sotto l’Arco di Costantino, accanto al Colosseo. Con un tempo di 2 ore, 15 minuti e 16 secondi, Bikila non solo vinse la maratona, ma stabilì anche il nuovo record mondiale della specialità.
Un’impresa simbolica
Quella vittoria non fu soltanto un trionfo sportivo. Bikila divenne il primo atleta africano nero a conquistare una medaglia d’oro olimpica, aprendo la strada a generazioni di corridori del continente. L’immagine del giovane soldato etiope che correva senza scarpe, all’ombra dei monumenti dell’antica Roma, assunse subito un valore simbolico: il riscatto di un’Africa che iniziava a farsi spazio nello sport mondiale e sulla scena internazionale.
Il silenzio e la forza
La corsa di Bikila fu una lezione di determinazione e resistenza. Senza il clamore dei favoriti, mantenne un passo costante, superò il marocchino Rhadi Ben Abdesselam negli ultimi chilometri e tagliò il traguardo con una calma disarmante, quasi fosse il gesto più naturale del mondo.
Un’eredità immortale
La sua vittoria a Roma non rimase isolata. Quattro anni più tardi, a Tokyo, Bikila bissò il successo vincendo ancora la maratona olimpica, questa volta con le scarpe e appena 40 giorni dopo un’operazione di appendicite.
La figura di Abebe Bikila, scomparso prematuramente nel 1973, continua a rappresentare un’icona non solo sportiva ma culturale: il simbolo di un atleta capace di trasformare una corsa in una dichiarazione universale di dignità e libertà.
