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Avellino – Quando un sindaco è costretto a parlare di un “patto per la città”, significa che la città si sta disgregando più in fretta di quanto si riesca a ricucire. Laura Nargi lo ha detto con chiarezza: “Avellino non si può fermare”. Il punto è che, mentre lei prova a rimettere il motore in moto, c’è chi continua a svuotare il serbatoio, e spesso si tratta di chi ha le chiavi in tasca.
Il bilancio consuntivo, quello su cui si misura la tenuta di un’amministrazione, è stato affossato in aula da una parte della stessa maggioranza. Non è un incidente, è un cortocircuito. Non un’opposizione che combatte, ma un’auto che si spegne da sola mentre il conducente parla di strada da percorrere.
Cosa è successo davvero? Il voto contrario non è un dissenso tecnico: è il segnale di un patto mai davvero sottoscritto. In consiglio comunale, più che un progetto comune, sembra esserci una riunione condominiale con troppe agende diverse e nessuno disposto ad alzare la testa per vedere se piove davvero o solo nel proprio balcone.
La sindaca prova a chiamare tutti a raccolta, ma il rischio è che la chiamata cada nel vuoto. I consiglieri, invece di farsi trovare pronti con idee, risposte, visioni, sembrano più preoccupati di trovare il posto giusto da cui osservare il possibile crollo, così da poter dire “l’avevo detto” al momento giusto. È la politica del calcolo, quella che guarda il termometro ma non cura la febbre.
Nel frattempo Avellino resta lì: una città che ha ricevuto finanziamenti importanti, che ha nelle mani il PNRR, che ha quartieri da risollevare e sfide che non aspettano. Eppure resta immobile, come quei pendoli antichi che oscillano senza muovere il tempo.
Il richiamo alla responsabilità non è solo un’esortazione istituzionale: è un SOS lanciato nel mezzo di un consiglio comunale che assomiglia sempre di più a un campo minato. Il Patto per la città, se deve esserci, deve nascere su una base concreta: rispetto reciproco, coerenza politica, capacità di distinguere le scelte per sé da quelle per tutti. Perché la politica non è un’arte solitaria. È coralità, è fiducia costruita parola dopo parola, scelta dopo scelta.
Avellino ha tutto per camminare. Ma serve che qualcuno, almeno uno, si alzi e cominci a camminare nella stessa direzione. Non bastano i proclami né le mani tese nel vuoto. Servono braccia che lavorano insieme. Senza questo, ogni patto sarà solo una tregua breve tra due voti di sfiducia.
