QUADRELLE. L’appello su facebook di Giuditta per ritrovare i suoi fratelli. Ecco quello che avvenne negli anni 90.

QUADRELLE. Lappello su facebook di Giuditta per ritrovare i suoi fratelli. Ecco quello che avvenne negli anni 90.

Giuditta Tempesta, cosi si fa chiamare la ragazza che è alla ricerca dei suoi fratelli e della sorella partoriti da genitori che avevano come unico obiettivo fare prole per ricavarne un guadagno. La vicenda che bassairpinia.it ha portato a conoscenza oggi sta commovendo il web. La ragazza cerca i suoi consanguinei che come lei furono messi alla luce negli anni 90, epoca di questa triste storia.  La vicenda risale appunto  agli anni 90 e avviene nel piccolo centro del mandamento baianese: Quadrelle.  Protagonisti della vicenda, che Giuditta riporta alla luce, è una donna senza l’istinto di madre, portava in grembo vite da vendere. Partoriva senza amore. Metteva al mondo i suoi bambini come se fossero oggetti ingombranti di cui disfarsi. Calcolava le nascite con la pignoleria del contabile: una all’ anno. Poi cedeva i bimbi alle coppie sterili in cambio di soldi, complice il suo compagno, uno spiantato, il padre dei piccoli. Genitori per mestiere e per soldi, dunque. Tre neonati sono stati consegnati così al miglior offerente,  l’acquisto di un bambino costava pochi milioni. Il più turpe dei commerci  fu stroncato a Quadrelle, minuscolo paese nei dintorni di Avellino. Lì, in un solo stanzone sporco, buio come un tugurio, abitavano i protagonisti di questa storia, Antonietta A,  all’epoca trent’ anni, casalinga, e il suo compagno Antonio A. di 41. Antonietta e Antonio finirono in carcere. Altri cinque, tra cui un avvocato, un’ assistente sociale e gli acquirenti dei bimbi, finirono agli arresti domiciliari. L’ ultima persona scappò prima dell’ arrivo dei poliziotti.  “Operazione Cicogna”, così si chiama l’ indagine della questura di Avellino. I finti padri rinchiusi in cella. Ma anche le false madri sono responsabili. I mercanti di bambini, infatti, avrebbero violato la legge sull’ adozione dei minori e alterato i registri di stato civile. Il nido, nell’ ospedale di Nola, era ormai una catena di montaggio. Un parto dietro l’ altro. Chi comprava il neonato dichiarava all’ ufficio Anagrafe del comune che il piccolo era il frutto di una sua relazione con Antonietta. Mentre Antonio, il padre naturale, si teneva in disparte. Una volta fu addirittura testimone di un falso riconoscimento di paternità.  Dichiarò che il bimbo era stato concepito da Antonietta con un altro uomo. Invece era suo figlio. Come si spiega questo atteggiamento gelido, innaturale, così vicino alla pazzia? In parte si può interpretare così. Gli arrestati vivevano in condizioni di estrema povertà e abbrutimento. Per soldi avrebbero accettato qualsiasi compromesso. Si accontentavano degli spiccioli, perché il guadagno maggiore andava ai mediatori. La disperazione di Antonio e Antonietta si è incrociata con il cinismo di intermediari avidi di denaro e con i desideri inappagati, le aspirazioni frustrate di coppie incapaci di procreare. Quanto costava un bimbo? Fino a quindici milioni, si dice.
Quando giungeva l’ ok di un “cliente”, Antonietta e Antonio mettevano in cantiere un figlio. Il primo neonato ceduto dietro compenso fu una bambina che all’epoca dell’operazione “Cicogna” aveva cinque anni. Un’ altra ne aveva quattro. Il terzo, un maschietto, due. La vendita del quarto neonato, una femminuccia, fu bloccata appena in tempo. I bimbi, sballottati da una famiglia all’ altra, sono naturalmente i più colpiti, porteranno per sempre i segni del trauma. Prima sono stati abbandonati dai genitori naturali.  Poi sottratti alle famiglie che li avevano comprati e alle quali, ormai, si erano affezionati. Infine trasferiti in istituti religiosi e poi consegnati tutti e tre insieme ad un’ altra coppia con regolare adozione.  Antonietta A., nell’ interrogatorio dell’allora pubblico ministero Sergio Amato e del giudice Modestino Roca, ammise di aver venduto i suoi figli. Ma fu  arrestata ugualmente perché si contraddiceva. Nelle prime dichiarazioni parla di un guadagno di “pochi milioni”. In seguito sostiene di aver intascato un milione per ogni bambino. Poi rettifica e accusa uno dei mediatori di aver preteso cinque milioni, mentre a lei non avrebbe dato una lira. Nega invece di aver chiesto denaro il convivente di Antonietta. “Prima o poi ci saremmo ripresi i nostri bimbi”, giurava Antonio A. Ma neppure lui era credibile secondo i magistrati. Finirono in carcere anche l’agricoltore P. .B e il carrozziere S.I, secondo la procura comprarono i bambini. Agli arresti domiciliari finirono anche un avvocato, 71enne, che avrebbe indicato la strada per falsificare le adozioni, e l’ assistente sociale. Fu accusata di falso e abuso d’ ufficio. Compilò una relazione favorevole a una coppia che aveva acquistato un bimbo e ne chiedeva l’ affidamento in adozione, per mettere le carte in regola.