LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA – LA POETICA DI GIACOMO LEOPARDI

LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA   LA POETICA DI GIACOMO LEOPARDI

di Sebastiano Gaglione

Ne “La quiete dopo la tempesta”, composta nel settembre del 1829 a Recanati, Leopardi descrive ciò che accade agli animali e alla natura, nonché agli uomini una volta passata la tempesta, cioè una volta che la vita del borgo torna al lavoro consueto, così come si esprime negli uomini il senso di liberazione e di gioia nel borgo, dopo lo spavento temporaneo.

La seconda strofa, invece, ha inizio con la ripresa dello stesso ed identico verso della prima strofa “Si rallegra ogni core”. Il poeta ,dunque, manifesta al lettore il piacere dell’uomo dopo la tempesta e la stessa natura è origine del piacere.

Nella terza strofa, successivamente, il poeta fa uso di due momenti puramente ironici: il primo si basa su una natura che per amore del genere umano sparge pene ed il secondo sulla specie umana, così cara agli eterni che, effettivamente, solo la morte può liberare dai dolori.

Dunque, protagonista dell’intera lirica è il paesaggio dialettico costante, la cui scenografia è, in un certo senso, accentuata dai idillici (uno scorcio di campagna che ritorna alla vita e al “sereno” v. 4, dopo l’imperversare di un temporale), che è una metafora di un’età gioiosa della vita, o della felicità di chi, come “l’artigiano” del verso 11. Il paesaggio e la contemplazione vera e propria espressa in esso, in un certo qual modo, collegano, o meglio, uniscono (attribuendone un senso), le tre caratteristiche fondamentali del sistema poetico di Giacomo Leopardi: la riflessione, il sentimento e l’immaginazione.

LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA   LA POETICA DI GIACOMO LEOPARDIInoltre, l’effetto di serenità si traduce in una perfetta coordinazione di periodi, espressi prevalentemente per asindeto, trasmette un’impressione di vitalità  e di sensazioni visive (il “sereno che rompe da ponente” la luce del sole che fa splendere le acque del fiume, le case da compagna che s’aprono al ritorno del bel tempo ai vv.19-22). Nella parte descrittiva della lirica rileva l’occorrenza della vocale “a”, che rende l’idea di infinito; nella seconda parte sono presenti suoni aspri e duri. Ricorrenti sono il ritmo delle rime (“montagna-campagna” vv.5-6, “lato-usato” vv.8-10, “sentirò-giornaliero” vv.17-18, “famiglia-ripiglia” vv.21-24), rime interne (“passata-tornata” vv.1-3) o assonanze e rimandi sonori; presenti sono anche le sensazioni musicali-uditive, evidenti particolarmente in chiusura di strofe, con il “tintinnio di sonagli” del carretto del viandante (i versi 21-24 insistono così sui suoni della “r” e del nesso “gl”, come in “terrazzi”, “famiglia”, “corrente”, “sonagli”, “carro”, “stride”, “ripiglia”).

Il ritmo della seconda strofa, invece, è molto più lento e fa emergere il contrasto tra sofferenza e piacere, nonché una visione naturale catastrofica, opposta a quella di felicità iniziale (“piacer figlio d’affanno”).

Infine, la conclusione della lirica, è incentrata sul ragionamento leopardiano in chiave cupa e sarcastica: la natura è tutt’altro che benigna nei confronti dell’uomo. La “nota” finale si schiera contro la sua supposizione che l’umanità sia realmente “cara agli eterni” (v.51), accentuando il concetto di “pietas”  del Leopardi, per cui l’umanità è destinata ad essere infelice.