La Fondazione Onda premia la Casa di Cura Malzoni di Avellino

La Fondazione Onda premia la Casa di Cura Malzoni di Avellino

Una mappatura degli ospedali con i Bollini Rosa che offrono percorsi e servizi nell’ambito dell’oncologia ginecologica sul territorio nazionale allo scopo di supportare le donne con tumore all’ovaio o all’endometrio, individuando quelle strutture che si distinguono per l’alta specializzazione, per la multidisciplinarietà della presa in carico e per la capacità di offrire un’assistenza ‘umana’ e personalizzata. È quella che è stata realizzata da Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, e presentata oggi in un evento dedicato presso il Senato della Repubblica, Palazzo Giustiniani.

Una mappatura che ha portato alla consegna, il 15 marzo scorso, dei riconoscimenti ONDA a 40 ospedali ‘a misura di donna’ sui 130 che hanno aderito su base nazionale.

Tra queste la Casa di Cura Malzoni di Avellino che, per l’occasione, ha ricevuto nella persona del suo Presidente, il professor Carmine Malzoni, una targa che riconosce l’impegno, della struttura sanitaria e dei suoi specialisti, in tale settore.

Siamo molto orgogliosi del riconoscimento ottenuto – commenta Paola Belfiore, ad del Casa di Cura Malzoni – Ringrazio per questo tutti i nostri operatori compreso il professor Carmine Malzoni che è stato ed è il motore dell’impegno profuso dalla struttura nell’assistenza a pazienti che attraversano un momento molto delicato della loro vita”.

La nostra è una struttura che accoglie la paziente in maniera completa. – dice Carmine MalzoniSiamo organizzati in un team caratterizzato da una multidisciplinarietà indispensabile ad affrontare il percorso delle pazienti con tumore dell’ovaio o all’endometrio. Ciascuna delle nostre pazienti è un ‘mondo’ da condividere e da rispettare nella sua specificità. Un approccio che, grazie a tutti gli specialisti coinvolti, ci permette di promuovere un’assistenza personalizzata alle donne che si rivolgono alla nostra struttura”.

Un’iniziativa, realizzata con il contributo incondizionato di GSK, che vuole rispondere con un atto concreto alle necessità specifiche delle donne colpite da questi tumori, all’impatto traumatico e al disorientamento spesso legato alla diagnosi, al bisogno profondo di una completa e chiara presa in carico da parte di medici e strutture sanitarie, come emerso in un’approfondita indagine qualitativa presentata nel corso dell’evento.

Il cancro dell’ovaio è un tumore piuttosto raro: secondo i dati dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) colpisce, nell’arco della vita, una donna su 82. È un tumore che sfugge alla diagnosi precoce: spesso ha già dato metastasi quando viene diagnosticato (Fonte: AIRTUM-AIOM-Fondazione AIOM). I tumori dell’endometrio rappresentano la quasi totalità dei tumori che colpiscono il corpo dell’utero, e si collocano al quinto posto per frequenza tra i tumori più diagnosticati nelle donne (5 per cento di tutte le diagnosi di tumore nel sesso femminile) con circa 8.700 nuovi casi all’anno in Italia (Fonte: AIRC – Associazione Italiana Ricerca sul cancro).

“Una malattia che muta radicalmente lo scenario e le prospettive di vita delle pazienti”, commenta Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda, “vissuta come un invasore mostruoso, e che attiva meccanismi di difesa estremi come la negazione, nel tentativo di allontanare il ‘male’ da sé e predisporsi a lottare per sconfiggerlo. È questo il primo aspetto che emerge dalla nostra indagine sulle donne colpite da tumore all’ovaio o all’endometrio. La presenza di metastasi già all’esordio è un ‘trauma nel trauma’, talmente angosciante che in alcuni casi è in qualche modo ignorata, rimossa, in molti altri attiva sensi di colpa per la mancata prevenzione. Di fronte a questo impatto spesso le donne si sentono prive di un percorso che le rassicuri, che dia loro informazioni dettagliate sulle possibilità di cura, che attivi una piena presa in carico. Ecco, l’obiettivo del nostro lavoro di mappatura è proprio questo: aiutare queste donne a orientarsi in un percorso già difficile, con tutti gli strumenti che ci sono per affrontare al meglio la loro condizione”.

L’indagine conoscitiva realizzata da Fondazione Onda in collaborazione con Elma Research ha voluto ricostruire, attraverso una metodologia qualitativa tramite interviste in profondità, il patient journey delle pazienti con carcinoma dell’ovaio o dell’endometrio, il vissuto e l’impatto della malattia, l’esperienza di terapia, rilevandone gli unmet needs, con un focus sui servizi e le attività da implementare per supportarle al meglio nella loro quotidianità. L’irruzione della malattia, evidenzia l’indagine, sancisce un cambiamento drastico, definitivo con un impatto drammatico sulla qualità di vita delle pazienti, accompagnato da un sentimento di incertezza e di angoscia, che diventa pervasivo, e stravolge radicalmente le abitudini, la quotidianità e le relazioni, minando anche il senso della propria identità. I cambiamenti fisici e le limitazioni pratiche comportano una profonda trasformazione nell’immagine di sé, in senso negativo, alimentando un grande senso di solitudine nella comunicazione con gli altri. L’intervento chirurgico di isterectomia o ovariectomia è descritto come una mutilazione che compromette in modo definitivo la propria femminilità, ancor più se presente una mastectomia precedente. La trasformazione del corpo è vissuta come deperimento/degrado, e la sessualità ne viene fortemente compromessa. In diversi casi anche la vita lavorativa subisce ripercussioni a causa della patologia, con molte donne che rinunciano all’impegno lavorativo o lo ridimensionano.

Nel racconto di molte pazienti (specie se con carcinoma ovarico) emergono alcune criticità: una presa in carico poco coordinata e strutturata, affidata a fattori ‘casuali’, estemporanei e soggettivi; tempi di attesa problematici per gli approfondimenti diagnostici; frequenti richieste di ripetere esami già effettuati, senza spiegazioni della motivazione; prescrizione di esami più complessi che richiedono tempistiche lunghe, che spingono le pazienti a rivolgersi al privato per risolvere con maggiore rapidità, oppure a rivolgersi a strutture in altre province/regioni. Molte pazienti si trovano ad affrontare questo viaggio incognito con un debole bagaglio conoscitivo, soprattutto sul ruolo delle diverse terapie. Sebbene la chemioterapia abbia una forte valenza e sia vissuta come tappa necessaria del percorso terapeutico c’è una scarsa consapevolezza della funzione specifica della terapia neoadiuvante vs terapia adiuvante. Per le pazienti con carcinoma ovarico, la terapia orale rappresenta una novità non ancora del tutto compresa: la debole informazione circa efficacia e sicurezza della terapia genera incertezza. Anche le indagini sulle mutazioni genetiche dei tumori sono ancora una ‘nebulosa’ informativa per la maggioranza delle pazienti, non si possiedono cognizioni sull’importanza della ricerca in questo campo. Il percorso della paziente appare poco definito e strutturato: già dall’esordio di malattia, l’esigenza è quella di essere indirizzate agli specialisti e ai centri giusti, senza dispersioni e ipotesi diagnostiche fuorvianti, per superare il senso di smarrimento angosciante. È chiaro un bisogno di orientamento di fronte alla diagnosi: conoscere i centri specializzati, quelli prossimi a casa, poter essere inserite al più presto in un ‘protocollo terapeutico’ chiaro e definito, ben esplicato alla paziente. C’è il bisogno di una presa in carico globale, multidisciplinare, con obiettivi terapeutici chiari e condivisi che le facciano sentire accolte, protette, in cura.