CAPTAIN AMERICA: CIVIL CONFUSION

CAPTAIN AMERICA: CIVIL CONFUSION

CAPTAIN AMERICA: CIVIL CONFUSION Quando negli anni ’50-’60 andavano molto di moda i peplum sui forzuti eroi mitologici dell’Antichità, come Ercole, Sansone e Maciste, si arrivò a saturare l’attenzione del pubblico con una quantità di lavori che sempre meno raggiungeva la qualità dei primi film. Coi super-eroi tratti dai fumetti si sta rischiando la stessa fine. Ad onor del vero nessuna produzione sul tema dei “super-umani” è tecnicamente ineccepibile (si è preferito l’intrattenimento) e il canovaccio non è mai nuovo. Ogni volta, infatti, un attore di bella presenza interpreta il personaggio principale; una bella donna ha il ruolo della fidanzata del protagonista, che deve essere salvata (il maschilismo vince sempre!); un saggio anziano o di mezza età aiuta i beniamini nello sviluppo dei poteri, ma anche di un senso di umanità più profondo; l’eroe non rivela a nessuno la propria identità, per timore di diffondere paure e scetticismi. L’unico idolo fumettistico che ha lasciato il segno nelle sale è Tony Stark/Iron-Man: l’ironia e il talento di Robert Downey Jr hanno reso possibile una fuoriuscita molto gradevole dal canone classico. Anche quando più eroi sono stati raggruppati per “The avengers” lo scienziato narcisista si è differenziato da tutti gli altri. In “Captain America: Civil War” la bravura dell’interprete statunitense è emersa con maggiore risalto. Va di sicuro affinata l’espressività, ciò nonostante è chiara da sempre la capacità di Downey di esternare un malessere interiore. Sta all’interprete, però, uscire dalla gabbia dell’umorismo, preoccupandosi di scegliere ruoli migliori rispetto a quello mediocre dell’avvocato in “The judge”: una macchietta schematica e melodrammatica (tanto meglio restare nei panni di Tony Stark: c’è almeno la possibilità di lasciar trasparire una parte più intima, arricchendo un personaggio che non offre troppe possibilità di evoluzioni comportamentali, cioè la piattezza al servizio della libertà recitativa). Il titolo della pellicola è incomprensibile: se è il terzo capitolo della saga di Capitan America perché ci sono quasi tutti “i vendicatori”? “Captain America: Civil War” fa pensare che la storia principale sia quella del super-soldato. In effetti per tutta la durata del film il pubblico è indotto a ritenere che il cattivo principale sia il miglior amico di Steve Rogers, il quale, per proteggerlo, scatena l’ira degli altri compagni. La presenza contemporanea di 12 stelle fumettistiche non è tuttavia sufficiente a convincere che non giri tutto intorno al personaggio a cui ha dato vita Chris Evans? Tutti gli eroi presenti intervengono nella battaglia, assumendo un ruolo decisivo; barricarsi dietro il totale di battute e di scene che coinvolgono i singoli personaggi è riduttivo. E’ casuale che lo scontro finale avvenga tra Capitan America e Iron-Man e non tra il primo e un qualunque nemico scritto da Stan Lee e disegnato da Jack Kirby? Un titolo simile, per di più, fa pensare ad un numero di scontri superiore rispetto alle due opere precedenti. I primi due volumi della trilogia su “I vendicatori”, infatti, erano molto spettacolari, ma stavolta il livello si è abbassato. In tutte e tre le pellicole a sfondo collettivo ogni combattente ha il proprio passato da cui vuole scappare, la propria storia che non vuole raccontare, la propria personalità che vuole difendere. Capitan America ha un senso estremo dell’onestà; la Vedova Nera è presa continuamente da rimpianti e rimorsi; Bruce Banner deve vivere con un mostro interiore che non riesce a controllare e che lo riduce in uno stato d’angoscia; Peter Parker vuole salvare gli altri per redimere se stesso dal senso di colpa per la morte del nonno. Quando si passa da una produzione a quella successiva le emozioni dovrebbero sommarsi ed è ciò che effettivamente accade tra “The avengers” e “The avengers: Age of Ultron”. Ci si aspettava quindi che nell’ultimo lavoro l’effetto fosse ancora più esplosivo, ma di esplosivo ci sono state solo le bombe. Dovevano apparire amplificate le apprensioni di quei paladini della Giustizia che senza particolari poteri si sentono inferiori a chi ha subito esperimenti o evoluzioni scientifiche, invece si dice poco o nulla; alcuni sentimenti sono del tutto repressi, mentre nei volumi precedenti emergevano. In realtà nel terzo film anche i comuni mortali che sono diventati eroi senza mutazioni riescono a fronteggiare i più abili, risultando cruciali per le dinamiche della storia…ed è una delle poche note positive della pellicola. C’è di buono anche la presenza determinante di eroine che almeno stavolta non devono la propria vita agli uomini, a differenza di tutti i capitoli Marvel distribuiti negli anni passati. E’ preponderante un altro stato d’animo: la vendetta. Sembrerebbe normale che eroi chiamati “vendicatori” nutrano un senso di rivalsa, ma in genere si attribuisce ad un modello una rettitudine tale da impedirgli di concentrarsi solo sul tornaconto personale. Proprio per evitare che prenda il sopravvento un’irrazionalità devastante il senso di responsabilità emerge in maniera dirompente. Se si hanno grandi poteri si hanno anche grandi responsabilità ed è consequenziale la ricerca di un Bene superiore che comprima la brama di rivincita. I due temi sono al centro dell’intera produzione, in continua compensazione, ma è palese fin dall’inizio quanto la gravosità per il proprio incarico sia e debba essere prevalente rispetto al riscatto. L’inventore di Iron-Man, per la verità, aveva iniziato a confrontarsi con Capitan America con le migliori intenzioni, ma un continuo turbinio di tormenti gli ha offuscato la mente. Il contrasto nasce nel momento in cui troppi danni collaterali hanno mostrato come il gruppo di beniamini possa essere pericoloso e Stark è costretto ad ammettere alcuni errori, dei quali si sente fortemente responsabile. Dall’altra parte Steve Rogers, alla maniera del film precedente della propria saga, aveva trasgredito ad ordini dall’alto, perché ritenuti contrari alla propria moralità. Gli incidenti possono succedere, ma è sbagliato buttare via tutto ciò che di buono è stato fatto dalla super-squadra, sottoponendo i super-umani ad un controllo che può limitarne l’efficacia. L’istinto di difendere il migliore amico spinge Capitan America a ignorare direttive superiori e Iron-Man non ci sta, eppure è un ipocrita, poiché è inconsciamente ossessionato dalla vendetta per l’omicidio dei genitori sebbene solo nelle scene conclusive trasparirà questa fissazione. Alla fine devono dare tutti ragione a Steve Rogers. A furia di difendere i migliori amici e i parenti, tra l’altro innocenti, non si giunge a nessun traguardo ammirevole, quando in gioco c’è il destino di un intero pianeta, ma nemmeno a dar retta alla politica si ottengono risultati più ragguardevoli. Non c’è nessun aspetto tecnico apprezzabile: è un blockbuster dagli alti incassi, senza alcuna ambizione se non quella di divertire il pubblico di tutto il mondo con una mega-produzione che si è sforzata, in malo modo, di incrementare il peso emotivo del cinema fantascientifico. Nelle prossime occasioni sarebbe meglio scegliere un solo protagonista, per poter analizzare psicologicamente ed esaustivamente il personaggio. E’ snervante per gli sceneggiatori concentrare gli strazi di più eroi in un’unica opera, in quanto è difficile capire come equilibrare le sensazioni dei vari beniamini senza far prevalere l’uno sull’altro. Si possono tralasciare dettagli ma non ci si può accontentare di quattro battute, se si vuole inserire un discorso complesso. Se si vuole dare spazio a tutti è preferibile affidarsi a tante altre serie di film, che a qualche pellicola confusa e superficiale. Forse sarebbe opportuno migliorare anche gli aspetti tecnici. Una maggiore personalizzazione dei vari fumetti porterebbe novità interessanti, che eviterebbero un appiattimento sugli schemi propagandistici di Capitan America o sulle intemperanze di altri eroi. Un passo decisivo è rappresentato dalla scelta di interpreti più valenti; di musiche diverse, simili a quelle di “Iron Man”, che in molti punti non hanno nulla di sinfonico (“Captain America”), preferendo composizioni rock. Magari si potrebbe uscire dal maschilismo, arricchendo le personalità delle eroine (il cui numero deve essere necessariamente incrementato). Uno sforzo maggiore sulla fotografia sarebbe opportuno, eppure siamo sicuri che a quel punto i fumetti sui super-eroi non diventeranno solo un mezzo per trasmettere una morale? Resta pur sempre essenziale l’ottica di intrattenimento, che va arricchita, non annullata. (Sabato Covone)