Baiano. 30 anni fa, la strage di via D’Amelio, a Palermo

Baiano. 30 anni fa, la strage di via D’Amelio, a Palermo

19 luglio del 1992, si consumava la strage di via D’Amelio, in cui furono assassinati dalle consorterie di mafia, il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della Polstato   della personale scorta protettiva, così come il 23 maggio dello stesso anno- e sempre a Palermo – erano stati assassinati, nella strage di Capaci, il giudice Giovanni Falcone e gli agenti della Polstato della personale scorta di protezione. Una criminosa e spregiudicata dimostrazione di violenza mafioso terroristica, che turbò e scosse profondamente l’opinione pubblica.

Il 9 febbraio del 2020,  veniva inaugurata in piazza IV Novembre  la sede di ProTeatro  nell’ex- Sala cinematografica Sarno, con la partecipazione di Ruggero Cappuccio, autore, regista teatrale e cinematografico, che presentò il docufilm  sulla vicenda di Paolo Borsellino, uomo al servizio dello Stato e magistrato dai molteplici interessi culturali; docu-film di rilevante interesse e valore sociale, con ampi riscontri di consenso nell’opinione pubblica. Una narrazione, quella di Cappuccio, decisamente forte e penetrante per l’intensità e varietà delle immagini, scandite dal ritmo incalzante della  scrittura e del sonoro.

 Dell’evento  si ritiene opportuno riproporre il testo di cronaca pubblicato, su queste colonne. Vuole essere un  omaggio a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino, e per tutto ciò che rappresentano per e i valori della libertà nella democrazia e nella giustizia.   

  

Cultura ed etica civile, a ProTeatro

Ruggero Cappuccio racconta Paolo Borsellino, servitore dello Stato di diritto

 di Gianni Amodeo

Incontro di proficuo e stimolante interesse etico- culturale con Ruggero Cappuccio, autore di nitida scrittura comunicativa, oltre che raffinato regista teatrale e cinematografico; incontro vissuto nell’accogliente climax di linda sobrietà della Sala di ProTeatro in piazza IV Novembre e promosso dall’omonima Cooperativa di giovani, che si dedicano con calda passione e vivo impegno all’arte scenica, veicolando idee, proponendo spettacoli e produzioni televisive, animando progetti e corsi di formazione per ragazze e ragazzi, a cui corrispondono serie ed encomiabili opportunità di lavoro creativo con il riscontro già di significative esperienze.

A far da mediatrice del rendezvous con l’uditorio in raccolta e meditata attenzione, l’esemplarità civile e civica incarnata  da Paolo Borsellino il giudice ucciso  il 19 luglio del 1992 nell’attentato di via Mariano D’Amelio, a Palermo, insieme con i cinque agenti che costituivano la personale scorta protettiva  della Polizia di Stato, con i quali viveva in profonda empatia  umana, prima che di comunanza professionale e di servizio pubblico per lo Stato; attentato compiuto, va ricordato, con le modalità peculiari della più collaudata ed efficiente tecnologia terroristica, concretizzando il perverso e torbido intreccio tra i poteri della politica, le articolazioni istituzionali deviate dallalveo dello Stato di Diritto e la mafia. L’uccisione di Paolo Borsellino seguiva quella del 23 maggio dello stesso anno, in cui nella Strage di Capaci restò ucciso Giovanni Falcone insieme con la moglie e gli agenti della scorta della Polizia di Stato. Analogie e simmetrie impressionanti, tenendo presente che Borsellino e Falcone erano i giudicisimbolo del maxiprocesso celebrato sul finire degli anni ‘80 nell’aulabunker del carcere dell’ Ucciardone, a Palermo, contro Cosa nostra con oltre 400 imputati e  concluso con sentenze di condanna per ergastolo e lunghe carcerazioni.

 Fu il maxiprocesso, che costituì  il tangibile e sostanziale fattore di svolta di contrasto alle consorterie di mafia, in virtù del quale lo Stato, nell’affermare il proprio ruolo, dispiegava le proprie funzioni di presidio della civile e ordinata convivenza sociale. Lo Stato rivendicava e affermava il proprio ruolo di garante delle tutele sociali. Non era mai accaduto che le consorterie di mafia, fossero poste sotto accusa con un’inchiesta  super- documentata, per nulla manipolabile, venendo  inchiodate alla loro pesanti responsabilità antisociali e  antiStato. E condannate con il rigore della legge. Era, il maxi-processo con le condanne sancite, era la testimonianza della normalità dello Stato di diritto.

Paolo Borsellino. Essendo Stato.

E’, quella appena tratteggiata per sommi capi, una delle fasi cruciali della più recente e tormentata storia politica e giudiziaria della società italiana, avviluppata e afflitta dagli affanni della democrazia  sostanziale incompiuta, a voler richiamare – come a chi scrive sembra opportuno, anzi doveroso evidenziare- il senso della lezione di Aldo Moro nei cupi anni ’70, i cui riverberi sono ancora persistenti e duri nell’attualità dei confusi scenari dei  nostri giorni, profondamente vuoti di pensiero e di visioni ideali, in cui il particolare primeggia e subordina a sé, svilendolo, il bene comune. E’ la fase che fa da chiave ispiratrice, contesto e sfondo a Paolo Borsellino. Essendo Stato, il libro scritto da Ruggero Capuccio, pubblicato da Feltrinelli e corredato dai disegni di Mimmo Paladino, con fotografie di Lia Pasqualino; un racconto visivo, rappresentato in tutti i maggiori teatri nazionali con interpreti e messinscena di alta espressività artistica e civica, assumendo  il profilo di Lettura civile per le giovani generazioni negli Istituti statali d’Istruzione superiore, nei Licei e nelle Università, per diventare docufilm ad ampia diffusione per opera di Rai1 e RaiStoria, con l’autore stesso che interpreta il ruolo del testimone civile e di condivisione verso l’azione di Borsellino e Falcone. E nella  stesura completa e definitiva del libro, è di gran pregio documentale la pubblicazione integrale delle audizioni rese da Borsellino e Falcone il 31 luglio del 1988  per otto ore al Consiglio superiore della magistratura; audizioni, che i due magistrati resero in autotutela,per dir così, dal momento che rischiavano addirittura d’essere sottoposti a provvedimenti disciplinari per il loro operato di servitori dello Stato.  

E’ un squarcio di cruda realtà che fornisce molteplici elementi di conoscenza sugli intricati percorsi su cui si dipana l’esercizio della giurisdizione in Sicilia; squarcio, affidato alle parole scritte che per se stesse richiedono argomentazioni e sollecitano riflessioni, lontane naturalmente dall’evanescenza sia dell’impatto fonetico della messa in scena in forma teatrale, sia del montaggio cinematografico; uno squarcio, dal quale emerge la chiarezza lapidaria con cui Borsellino focalizza la sua esperienza di lavoro,stigmatizza lo smantellamento del pool antimafia, la deprecabile dinamica ancorata alla parcellizzazione delle indagini e l’assenza di un piano operativo atto a valorizzare il lavoro di carabinieri e polizia. E’ la rivendicazione del cittadino e del giudice per la costruzione e  l‘affermazione dello Stato, garante e presidio di civile convivenza e di equilibrio sociale.

 E quella dello Stato costruttivo e garante dell’equilibrio sociale– come a ragion veduta sottolinea Cappuccio nel libro- era l’ IdeaStato che Borsellino aveva avvertito quale concezione in cui si era riconosciuto fin da giovane. Era l’IdeaStato, che declinava, va ricordato, le suggestioni dell’eticità e il fascino del bello, specchio della laica visione del vivere elaborata da Federico II – lo Stupor mundi– magnifico legislatore, assertore e promotore dell’incontro delle culture d’Occidente e d’Oriente, specie sui versanti del pensiero filosofico, delle scienze e delle applicazioni tecnologiche, fautore della pacifica coesistenza dei monoteismi di matrice  cristiana, ebraica e musulmana. E l’ammirazione verso Federico II e la Casa sveva darà l’input a Paolo Borsellino per l’apprendimento da auto-didatta della lingua tedesca, per meglio conoscerne la Letteratura, dedicandosi in particolare alle opere poetiche di Goethe e Rilke, con agili tradizioni in italiano.

Il docufilm e la conversazione \ Stabat mater dolorosa 

La proiezione del docu-film e l’avvincente conversazione con Ruggero Cappuccio, condotta con incisiva linearità da Franco Scotto, regista e autore, immettevano l’uditorio nel mondo degli affetti e delle relazioni di Paolo Borsellino, uomo, padre di famiglia, cittadino, giudice; risultavano due ben calibrati registri di rappresentazione,  con  filo conduttore la trama del libro, articolato in undici movimenti-capitoli, introdotti da citazioni tematiche di Tucidide, ripetendo  l’impianto del celebre e commovente  Stabat mater dolorosa di Pergolesi nelle  scansioni metriche  della lingua latina, con le sue dolci suggestioni.

Un mondo ricapitolato e ri-vissuto dall’immaginato flusso della memoria di Paolo Borsellino, nel tempo fermato alle ore 16,58 nella successione delle particelle dell’istante di sospensione tra la vita e la morte di quel 19 luglio del 1992, il giorno dell’attentato dinamitardo, di cui fu bersaglio senza scampo o via di salvezza insieme con gli agenti della scorta, in via Mariano D’Amelio, a Palermo, la città dov’era nato 52 anni prima. Una ricostruzione a tutto tondo, in cui la scrittura di Cappuccio fa ritrovare e risaltare nell’esistenza e nello stile di vita di Borsellino la stretta connessione tra la spirituale interiorità umana e la fede cristiana. Un’operazione di scavo, che trova uno degli aspetti più rilevanti nel capitolo dedicato “allarte della giustizia”, in cui viene dato spazio all’importanza dei linguaggi e della loro decifrazione negli interrogatori degli imputati.

 Una tecnica, anzi un’ “arte” di ricerca nel distinguere il pensato reale e il detto reale, liberando l’uno e l’altro da mistificazioni; un’operazione tutt’altro che agevole. E sul punto specifico, ben pertinente la distinzione focalizzata tra il carattere peculiare della lingua napoletana e quello della lingua siciliana, l’una è la lingua scenica, con varietà e ricchezza di parole che “accrescono” e dilatano le situazioni di riferimento, l’altro non aggiunge parole più del dovuto, anzi le sottrae, fino al mutismo rispetto ai fatti. E c’è di più: nella lingua siciliana, il passato remoto si usa anche se l’azione si è appena svolta. Il presente diventa a-temporale, e tutte le cose saranno come furono. Nella lingua napoletana il futuro, inteso come coniugazione verbale sia nell’accezione prossima che in quella dell’anteriorità che la precorre, non alcun rilievo e flessione temporale,  perché le azioni sono regolate e scandite dal presente che riflettono e riproducono realisticamente. E così per il napoletano è idiomatico affermare “lanno prossimo mi sposo”, perché  il futuro è imperscrutabile e ignoto, privo di speranze, com’è.

In Paolo Borsellino. Essendo Stato, tanti altri sono i temi e gli spunti di analisi e riflessione focalizzati, ben degni di essere di essere evidenziati, ma si andrebbe troppo per le lunghe. E’ certo, però, che il libro di Ruggero Cappuccio, con la versione teatrale e in linguaggio cinematografico a sedici anni dalla prima rappresentazione andata in scena al “Vittorio Emanuele”,a Benevento, ha un’intrinseca vitalità, che fa storia e cultura civica. E dice molto alle giovani generazioni sensibili alla costruzione di una società migliore. E di una giustizia giusta, cardine di quella  compiutezza autentica di civile convivenza, con cui si configura la  democrazia libera e plurale.

 

Baiano. 30 anni fa, la strage di via D’Amelio, a Palermo Baiano. 30 anni fa, la strage di via D’Amelio, a Palermo Baiano. 30 anni fa, la strage di via D’Amelio, a Palermo