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Era la notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 quando il mondo fu scosso dalle immagini provenienti da Pechino: l’esercito cinese, con carri armati e truppe armate, faceva irruzione in Piazza Tiananmen, cuore simbolico della Cina, per reprimere brutalmente le proteste pacifiche di studenti e cittadini che da settimane chiedevano riforme democratiche e maggiori libertà civili.
Le manifestazioni erano iniziate nell’aprile dello stesso anno, dopo la morte di Hu Yaobang, ex leader del Partito Comunista considerato una figura riformista. La sua scomparsa aveva acceso il malcontento popolare, radunando in piazza migliaia di giovani e intellettuali che chiedevano dialogo con le autorità e aperture verso la democrazia.
Per settimane, la protesta rimase pacifica. La piazza era occupata da tende, striscioni, studenti che leggevano, cantavano, discutevano. Ma il governo, incapace o non disposto a trovare un compromesso, decretò la legge marziale e ordinò l’intervento dell’esercito.
Nella notte tra il 3 e il 4 giugno, i carri armati avanzarono. I soldati spararono sui manifestanti e sui civili. Le stime sul numero delle vittime sono ancora oggi incerte, oscillando da centinaia a diverse migliaia di morti, poiché le autorità cinesi non hanno mai rilasciato un bilancio ufficiale e il tema è tuttora censurato nel paese.
Il mondo rimase sconvolto. L’immagine simbolo di quei giorni — il “Ragazzo col carro armato”, un giovane solo, disarmato, che tenta di fermare una colonna di blindati — fece il giro del pianeta, diventando emblema universale della lotta per la libertà contro la repressione.
A distanza di oltre trent’anni, il massacro di Piazza Tiananmen resta un capitolo oscuro e doloroso della storia contemporanea. In Cina è ancora un argomento tabù, ma nel resto del mondo viene ricordato ogni anno come monito e come tributo al coraggio di chi scese in piazza per difendere i propri ideali.
