Rimini, bagnini contro i maniaci del selfie con il morto

Rimini, bagnini contro i maniaci del selfie con il morto

La denuncia del coordinatore dei marinai di salvataggio: “Video e foto di chi sta annegando”

 I maniaci del selfie sembrano non avere scrupoli. Un autoscatto nei momenti o nei luoghi meno opportuni. Sui binari aspettando il treno che arriva, sulle strade degli incidenti, ma anche – l’ultima disdicevole tendenza – al mare quando i soccorritori sono in azione per salvare chi sta annegando, oppure in spiaggia quando c’è qualcuno colto da malore. Ovviamente i maniaci del selfie a tutti i costi non si fermano allo scatto. Pubblicano la foto o il video sui social network, perché li vedano tutti. Situazioni in cui, talvolta, ci sono persone che hanno perso la vita. Nemmeno di fronte a questo si fermano i maniaci del selfie.

SELFIE col morto. Il popolo della ‘morte in diretta’ allarga il suo giro sinistro di raccapriccianti video e foto. Dagli incidenti mortali sulle strade postati in rete i voyeuristi durante l’estate dilagano anche in spiaggia e in mare. E Stefano Simoni, coordinatore provinciale dei marinai di salvataggio di Rimini, non ne può davvero più.

Un fenomeno in crescita?

«Sono sempre di più i bagnanti che sembrano non avere altro da fare che aspettare i nostri interventi per precipitarsi a vedere lo spettacolo».

Che tale non è.

«Assolutamente no. Si tratta di persone quasi sempre in pericolo di vita. A volte a causa di malori o colpi di calore, a volte per sindrome da annegamento».

Veniamo alla questione video, fotografie e selfie.

«Purtroppo succede anche questo. Mentre sino a qualche tempo fa i turisti si limitavano a guardare ‘soltanto’, oggi molti ci attendono in riva al mare mentre ritorniamo con la persona salvata sul nostro pattìno, già con lo smartphone in pugno, pronti a immortalare immagini che dovrebbero essere tutelate dalla privacy, oltre che semplicemente dal buon senso. Ma come si fa a filmare una persona in pericolo di vita? O che, perché capita anche questo, magari non ce l’ha fatta?».

Lei che è ‘sul campo’ tutti i giorni, che idea si è fatta?

«La febbre dei social, Instagram, Facebook e compagnia, contagia sempre più persone. E lì c’è di tutto. È pane quotidiano di queste persone scannarsi alla ricerca di un ‘like’, un ‘mi piace’ in più ai loro post. Figuriamoci quando riescono a pubblicare sul web le immagini di un salvataggio in mare in diretta, magari con un morto».

Persone malate?

«Non so, temo di no, la cosa sta dilagando. Sono persone con manie di protagonismo, che fanno di tutto per avere un ‘clic’ in più».

A lei è mai capitato di ‘scontrarsi’ con questi voyeuristi estremi?

«Mi hanno riferito – dopo un salvataggio particolarmente eclatante: tre persone strappate al mare da me e altri colleghi durante una forte mareggiata – che c’era già il video pubblicato su Youtube, con tanto di primo piano delle persone salvate».

Ci sono altre criticità nel vostro lavoro, oltre agli aspetti ‘ordinari’?

«Veramente sì».

Quali?

«I ‘dottori per caso’».

Ovvero?

«Tutti quelli che, mentre stiamo applicando le procedure di pronto intervento, che fanno parte del protocollo e che adottiamo dopo corsi, aggiornamenti e simulazioni periodiche, vengono a dirci cosa dovremmo fare per salvare quella persona».

Tipo i pensionati sui cantieri dei lavori pubblici?

«Una cosa del genere».

E voi?

«Siamo allenati a ignorare il rumore di fondo, diciamo così, salvo eventuali aiuti da parte di medici o infermieri che conosciamo perché clienti abituali dello stabilimento, che ci possono coadiuvare sino all’arrivo del 118».