Guida Sentimentale ai Monti di Avella: la leggenda delle Pietre del Signore

Guida Sentimentale ai Monti di Avella: la leggenda delle Pietre del Signore

di Valentina Guerriero

Da qualche tempo è stata posta all’attenzione di chi frequenta abitualmente i percorsi di Avella, che dalle colline coltivate risalgono ai monti del Partenio, la leggenda delle Pietre del Signore. Perché per il momento, è solo di leggenda che si può parlare.

A sottoporci il quesito è Francesco Fusco, proprietario dell’azienda agricola e ristorante Il Moera, e che ci riporta una storia, tramandata per tradizione orale tra Avella e Baiano, secondo cui Federico Barbarossa sarebbe passato per questa strada denominata “Pietre del Signore”, nome dato dal fatto che si trova racchiusa tra due alti muretti in pietra viva, sicuramente antichissimi ma di datazione incerta. La strada risale a capofitto tra gli uliveti e si presenta come una mulattiera adatta a essere percorsa a piedi o a cavallo e sarebbe stata costruita, all’epoca, per far passare “il Signore”. La presenza di queste doppie mura in pietra è qualcosa di atipico, poiché l’usanza comune è quella di costruire un solo muro divisorio tra due proprietà, mentre qui ve ne sono due per poter lasciare in mezzo una strada di passaggio che sarebbe servita al signore. E il signore sarebbe, come già detto, secondo alcune narrazioni, Federico Barbarossa (1122-1190), che fu condotto attraverso questa strada per andare in Puglia, dove poi si sarebbe imbarcato per una crociata. Ma come disquisiremo più avanti, è probabile che non si trattasse di Federico Barbarossa ma di un altro regnante.

La fonte di questa leggenda è un noto possidente terriero della zona,
proprietario della maggior parte degli uliveti intorno alle pietre e al Maisone (argomento già trattato all’interno di questa rubrica) e che gli è stata tramandata a sua volta dai suoi nonni.

E quindi approfittiamo di quest’articolo anche per lanciare un appello a tutti gli avellani e non solo: chiunque abbia memoria e ulteriori notizie inerenti questa storia delle Pietre del Signore, ben nota nella zona, è invitato a contattare la redazione per contribuire a risolvere l’enigma.

La strada tra le pietre, che separa due proprietà, rappresenta un percorso chiaro e definito che conduce alla località Principessa, da cui si può procedere per andare poi oltre, ad esempio a Campimmo, la Falconara, ma anche proseguire fino al Campo di Summonte e infine alle vette.

E infatti, con ogni probabilità questa fu anche la strada percorsa dal poeta futurista Buccafusca per salire al Vallatrone, come si evince nel suo scritto del 1945 “Al Vallatrone (1511m) per Campo di Summonte“, contenuto in Guida Sentimentale dei Monti del Sud, in cui descrive con particolare enfasi il tragitto, fatto tutto a piedi, a partire dalla stazione della Circumvesuviana di Baiano da cui si era avviato insieme agli altri escursionisti della sezione del CAI Napoli:

Da Baiano per un sentiero sassoso che prende quota senza tornanti, dritto e spietato come una Via Crucis. Tra fiori selvaggi e profumi di menta finocchio e rosmarino vanta nel primo tratto oliveti che offrono i rami quasi braccia di candelabri d’argento ed insinuano pace ai malaccorti che osano imprecare alla ripidezza ed alla impervietà della sassaia.
In primavera le pale dei fichidindia sembrano mani di naufraghi travolti nelle ondate irresistibili delle ginestre. C’è un mare leopardiano che spumeggia senza misericordia.
Ed il sentiero conduce diritto alla piana di Summonte.

Gli escursionisti del CAI Napoli s’incamminarono infatti salendo per la collina di Gesù e Maria e la strada che risale così diritta, senza tornanti, da lui descritta, è con ogni probabilità questa delle Pietre del Signore, che è pubblica, questo anche considerando che nel 1945 non c’erano le nuove strade adesso presenti e le numerose attuali costruzioni, così che le Pietre del Signore rappresentavano la via di risalita più naturale fra gli uliveti di questa collina, fornendo un percorso libero e che non invadeva campagne private.

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Gli uliveti dalle braccia di candelabri d’argento descritti da Buccafusca

Ma se anche la strada risulta ben diretta e d’interesse, per quanto riguarda la storia ad essa collegata, in realtà ci sono non pochi dubbi sul fatto che il signore fosse effettivamente Federico Barbarossa, in quanto la sua presenza in zona non è accertata.

Potrebbe trattarsi d’un altro regnante, il cui nome, nel passaparola durato nei secoli, si sarebbe confuso, anche considerando la mancata conoscenza storica di chi lavorava le terre.

Infatti, seppur sia accertato che Federico Barbarossa di Svevia, nato in Germania, sia sceso al Sud in occasione della sua ultima crociata (come si legge nella biografia del medievista E.W.Wies, era prevista la partenza da Gallipoli per il 22 Marzo 1190, il Barbarossa aveva lasciato la Germania dieci mesi prima, nel maggio del 1189), non vi è alcuna prova che sia passato per questa strada. Le sue aree di influenza in vita furono più che altro al Nord Italia, e sebbene vi fossero delle mire sui territori del sud (in cui era forte la presenza dei Normanni, a cui è anche attribuita la ristrutturazione del castello di Avella nel XI secolo), si dovrà aspettare solo la sua morte e il matrimonio di suo figlio Enrico VI di Svevia detto il Severo con la principessa Costanza d’Altavilla di Sicilia (figlia di Ruggero II il Normanno) per unificare le casate e dunque i due regni.

Quindi s’è avanzata l’ipotesi che in realtà il signore non fosse il Barbarossa, ma un altro Federico, ad esempio Federico II di Svevia, di cui Barbarossa era il nonno e che era figlio di Costanza d’Altavilla, normanna, ed Enrico VI, svevo. Oppure il signore potrebbe essere Manfredi, figlio di Federico II, durante la sua fuga in Irpinia, storia ben documentata in Jamsilla, testo in latino che tratta delle gesta di Federico II imperatore e dei suoi figli Corrado e Manfredi, e che ricopre un periodo storico che va dal 1210 al 1258, punto di riferimento indiscusso per tutti gli studiosi di Federico II e i suoi figli.

La presenza dei normanni e della loro discendenza normanno-sveva sul territorio è indubbia, e ritornando a visitare il Museo Abbaziale di Montevergine m’era già saltato all’occhio lo splendore di un sarcofago romano del III sec. che secondo una tradizione verginiana (dal De Luciis in poi, 1617-1619) fu messo da parte proprio da Manfredi per la sua sepoltura e che rappresenta uno dei pezzi di maggiore bellezza della collezione del museo. Alla fine Manfredì morì nella battaglia di Benevento, sconfitto da Carlo d’Angiò nel 1266 ma il sarcofago non fu più utilizzato e rimase a Montevergine. Questa vicenda, i cui elementi non sono certi (un’altra leggenda vuole che sia stato invece San Guglielmo e non Manfredi a trasportare qui il sarcofago) fa capire però gli evidenti collegamenti e la frequentazione del santuario (raggiungibile a piedi o a cavallo dal Campo di Summonte in pochissimo tempo) da parte dei regnanti del tempo.

Lo stesso Federico II si narra infatti fu condotto a Montevergine bambino dalla madre Costanza per fare voto alla madonna, nella primavera del 1195, mentre si trasferivano da Iesi a Bari. L’abbazia di Montevergine sempre fu favorita da Federico II, sia con donazioni che agevolazioni fiscali e già prima della maggiore età, Federico II donò a Montevergine un appezzamento demaniale posto a Maddaloni, successivamente all’abbazia venne dato potere sul territorio di Mercogliano.

Inoltre, un mito in particolare lega la madre Costanza a Montevergine, che venne qui trasferita dopo essere stata lungo nel monastero del Ss.Salvatore a Palermo. Costanza rimase così per un periodo anche a Montevergine, prima del matrimonio con Enrico VI, e questo spiegherebbe la sua devozione per il santuario. Si tratta di una complessa figura femminile, che da monaca diventa madre di quello che diventerà uno dei più straordinari uomini di quel tempo, Federico II.

Anche il nome D’Altavilla, che indica l’appartenenza di Costanza ad un’importante casata normanna proveniente da Hauteville, in Francia, nella Normandia (avevano possedimenti ad Hauteville-la-Guichard, ma poi si spostarono in Sicilia e nell’Italia meridionale) è collegato, per l’appunto, a quello del paese di Altavilla Irpina, alle spalle di Montevergine, in cui si erano insediati i normanni e che gli diedero il nome.

Insomma, tutto questo excursus, che potrebbe continuare a lungo e con l’aggiunta di ulteriori e numerosi dettagli, serve più che altro a ricordare che queste zone sono state sicuramente battute da principi e principesse nel passato e ci si potrebbe perdere alla ricerca delle loro tracce. Ma non è questo ciò che conta di più, quanto la bellezza dal punto di vista naturalistico delle nostre terre, di tali uliveti (che ricordiamo furono fortemente voluti dai normanni, che ne ampliarono la coltivazione quando presero possesso della zona) e in particolare di questo breve percorso tra le pietre, di cui forse è stato proprio il poeta Buccafusca a delinearne in poche righe gli aspetti più rilevanti, legati a quell’aura mistica che solo chi ha provato una passeggiata per le colline di Avella e Baiano, sempre baciate dal sole, può riuscire a capire a pieno. Si tratta delle stesse atmosfere di cui anche il libro di Francesco Guerriero è pieno, nella sua lunga ode alla città di Avella, in cui, tra fiori e cenni storici, cerca di tratteggiarne un fedele ritratto.

Qui, prima di giungere alle Pietre, la cosa che più salta all’occhio, passando per gli uliveti in cui Moera produce il suo olio, è uno splendido piazzale, un balcone in cui le piante costituiscono degli archi naturali e che affaccia con ampio respiro su tutta la valle, incorniciando fra le foglie d’ulivo il castello. L’erba è di un verde insolito e che abbaglia, lunga e morbida come spuma del mare, accarezzata dal vento, e la natura cresce rigogliosa anche grazie alla scelta di Moera di produrre solo attraverso agricoltura biologica, ed infatti si possono notare qua e là penzolare, appesi ai rami degli ulivi, trappole a feromoni contro i parassiti delle piante.

Quindi, anche se forse un po’ ripido e non esente da punti critici (che possono in ogni modo essere risolti), il sentiero delle Pietre del Signore, che vi sia passato Federico Barbarossa o chi altro, merita sicuramente di essere percorso fino alla Principessa, allo stesso modo di come una breve passeggiata fra gli ulivi rappresenta da sempre, per chi ha la fortuna di abitare nei pressi, la più semplice e bella delle passeggiate. È un modo per rientrare in contatto, immediato, con la natura e riflettere sui nostri antenati, sulla vita che qui svolgevano, che era forse a volte povera ma senza dubbio autentica, legata a ciò che produceva la terra e a quello che donavano le montagne. E se anche qualcuno proverà a negarlo, ciò che siamo oggi dipende anche da quello che sono stati loro nel passato, e lo portiamo dentro, scritto in modo indelebile in ogni solco delle nostre dita, nei nostri lineamenti, nel nostro modo di osservare e di pensare: probabilmente c’è molto di questo anche nel fatto che non riusciamo in nessun modo a svincolarci dal fascino che esercita su di noi questa terra, e continuiamo a cercare nelle sue vie qualcosa che ancora non sappiamo, delle risposte che sono già dentro di noi.

Les habitants ressemblent à la terre qui les porte.
Gli abitanti assomigliano al luogo da cui vengono.
(Bartholmèss)

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Veduta del castello, collina del Seminario e Forestella

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Il sarcofago romano che secondo la tradizione (dal De Luciis in poi, 1617-1619) fu messo da parte da Manfredi per la sua sepoltura (in seguito alla battaglia del 1266 a Benevento con Carlo d’Angiò), e poi non più utilizzato. Secondo la leggenda, il sarcofago, del III sec., fu estratto da San Guglielmo a Frigento durante la costruzione di un monastero e successivamente fu trasportato a Montevergine. Presenta due teste di leoni e due di gorgoni sul retro.

Fonti:

Jean-Marie Martin – La vita quotidiana nell’Italia meridionale ai tempi dei Normanni
Vita di Federico Barbarossa – Ernst W.Wies
Nicolai Jamsilla – Historia de rebus gestis Frederici II imperatoris eiusque filiorum Conradi et Manfredi Apuliae et Siciliae regum – Biblioteca Nazionale di Napoli
Nicolò Jamsilla – Le gesta di Federico II Imperatore e dei suoi figli Corrado e Manfredi. Introduzione, traduzione e commento a cura di Francesco De Rosa – Francesco Ciolfi Editore Cassino
Museo Abbaziale di Montevergine
Enciclopedia Treccani
Napoli Normanno-Sveva – Amedeo Feniello
B.Capasso, Historia diplomatica regni Siciliae inde ab anno 1250 ad annum 1266, Napoli 1874