ATLETI: PRIVILEGIATI O MARTIRI?

ATLETI: PRIVILEGIATI O MARTIRI?

a cura di Sabato Covone

Nel 2018 è uscito nelle sale di tutto il mondo “First man”, un film statunitense diretto da Damien Chazelle, con Ryan Gosling nel ruolo di Neil Armstrong, il più celebre astronauta della Storia, la cui trama si occupa dello sviluppo delle missioni spaziali che portarono l’Uomo sulla Luna. I protagonisti erano consapevoli che stavano contribuendo in maniera decisiva al progresso umano, in quanto provavano i mezzi con cui sarebbero andati su altre superfici e segnalavano i problemi tecnici delle strumentazioni. Chiunque comprendeva bene cosa stesse facendo, quali tecnologie sarebbero state perfezionate e quali terre sarebbero state esplorate per la prima volta. Nessuno era all’oscuro dei pericoli e buona parte degli sforzi era orientata proprio a colmare eventuali lacune nella sicurezza. Tutti i cosmonauti, sebbene il numero di protocolli e precauzioni fosse notevole, sapevano che potevano uscire di casa, di mattina, per andare a lavoro, senza avere la certezza di tornare dalle rispettive famiglie di sera. Una qualsiasi produzione televisiva su Giovanni Falcone o Paolo Borsellino, similmente, mostra come i due eroi accettassero i rischi del mestiere, poiché il risultato della propria attività sarebbe stato decisivo per il futuro dell’Umanità.
Il bollettino di guerra, ad oggi, parla di 18 piloti morti durante le missioni e di più di 20 compagni defunti durante le prove. In Italia i magistrati sacrificatisi contro Mafia e Terrorismo sono 26 e il nostro paese non è un unicum sul panorama mondiale. Chissà quanti agenti, dalle Americhe all’Oceania, si aggiungono ai 29 italiani che hanno dato la propria vita in servizio. 28 giornalisti sono caduti sotto i colpi della censura armata nel nostro paese e centinaia di cronisti hanno fatto la stessa fine in svariati Stati. La società civile ha pagato un tributo molto elevato; tante categorie, tuttavia, non vengono mai ricordate a dovere.
Numerose vittime, infatti, si sono avute tra gli atleti durante l’attività agonistica. 44 piloti di Formula 1, per esempio, ci hanno lasciato nel corso degli anni, escludendo i 6 addetti alla sicurezza e tutti quei corridori scomparsi in altre competizioni o hanno subito seri infortuni. 106 motociclisti hanno perso la vita durante i campionati mondiali. Le stime riportano il numero esorbitante di 500 vittime tra i pugili. Si contano 26 trapassi tra i ciclisti, l’ultimo dei quali è stato Bjorg Lambrecht, il 5 agosto. Almeno 20 calciatori sono deceduti in attività per colpi subiti sul terreno di gioco o per problemi cardiaci, senza considerare coloro che hanno contratto la SLA, come Stefano Borgonovo. Il figlio di Cafù è morto il 6 settembre per infarto, a 30 anni. Daniel Jarque viene omaggiato dall’Espanyol al 21esimo minuto di ogni partita, perché aveva quel numero di maglia. Il pilota francese Anthoine Hubert ci ha lasciati il 31 agosto durante una gara di Formula 2 a Spa-Francorshamps e il giorno dopo, durante il gran Premio di Formula 1, al 19esimo minuto si sono sentiti degli applausi scroscianti, perché aveva stampato quel numero sulla propria monoposto.
Anche volendo obbligare i professionisti a indossare più protezioni, i colpi sono sempre limitabili? Nel calcio cosa si può fare oltre a rendere più resistenti i parastinchi, meno duri i tacchetti e istallare dei defibrillatori a bordo campo? Coprire i mezzi con ulteriori lamiere appesantirebbe le monoposto e la velocità si ridurrebbe parecchio, di conseguenza anche lo spettacolo. Per quanto le misure di sicurezza possano essere accresciute forse il problema passa dall’accettazione del pericolo.
Durante le Olimpiadi non è previsto che, nella boxe, si disputi la finale per il 3° e il 4° posto, che invece si svolge in altre attività agonistiche, per l’assegnazione della medaglia di bronzo. La ragione è da ricercare nell’inutilità di tale spettacolo, poiché non si può mettere a repentaglio la vita degli sportivi col pretesto di regalare un’altra esibizione al pubblico. Non è un caso, inoltre, che l’arbitro, nelle arti marziali miste e nel pugilato, intervenga tra i due avversari interponendosi tra gli stessi quando uno dei due cade a terra. La rivalità è un conto, ma l’accanimento irruente è inammissibile, quindi va frenata l’aggressività dei campioni per sventare conseguenze più deleterie. Certi eccessi devono essere evitati…ne va della loro vita.
Convinciamoci che una vittima su un terreno di gioco è una morte bianca sul lavoro. Perché l’indignazione popolare che accompagna queste premature tragedie è meno sentita e diffusa? Siamo portati a pensare che chi guadagna tanto debba essere costretto a morire, ma non ci saranno mai abbastanza soldi per resuscitare qualcuno. Già non ci fa strano vedere gli atleti spingere il proprio corpo al limite, a qualsiasi temperatura e con qualsiasi intemperia. <<Perché dobbiamo aspettare sempre che ci scappi il morto per migliorare le misure di sicurezza?>> è un’imprecazione ricorrente solo tra gli addetti ai lavori, non anche tra gli appassionati, il che è alquanto grave. Parliamo di esseri umani, non di entità mitologiche create solo per soddisfare le nostre rabbie represse. I ginnasti sono esposti continuamente a pericoli enormi, ma noi non mostriamo mai un’umanità adeguata; siamo troppo impegnati a comportarci verso di loro con sentimenti populistici, per i quali i nostri impulsi animaleschi, non filtrati dalla razionalità, ci consentono di sfogare sulle loro persone tutte le nostre frustrazioni quotidiane. Al termine di una partita bisognerebbe esaurire i discorsi sull’arbitraggio o sugli errori individuali dei calciatori, invece si continua a parlarne per tutta la settimana, in quanto si deve comunque cercare una distrazione dai problemi quotidiani. Il confronto aspro tra Italia e Germania, quando la prima era in crisi economica e la seconda promuoveva politiche da molti ritenute sfavorevoli per il bel paese, ha permesso a tutti noi di solidarizzare e di sentirci nazione per una delle poche volte nella Storia. La vittoria dell’Argentina contro l’Inghilterra ai mondiali del 1986 fu vista come il riscatto per aver perso le isole Falkland, poco importa se fu determinata da un goal irregolare. Se siamo demoralizzati non possiamo accanirci su chi sta lì per farci trascorrere due ore senza pensieri, soprattutto se poi quella spensieratezza diventa di per sé un pensiero costante. Non abbiamo il lavoro e invece di disperarci stacchiamo la spina andando allo stadio o guardando la TV, ma al termine della competizione dovremmo ritornare alla realtà, invece l’agonismo altrui diventa la nostra realtà. Abbiamo avuto una delusione d’amore? Dobbiamo elaborare un lutto? Sovraccarichiamo gli sportivi delle nostre preoccupazioni, deresponsabilizzando noi e aggravando la loro posizione. Quando una squadra di calcio perde tante partite capita che molti tifosi pretendano spiegazioni dai giocatori, che a volte devono andare sotto la curva per chiedere scusa. Può anche essere legittimo l’atteggiamento di un gruppo di sostenitori che chiede ai propri beniamini di dar conto di numerose sconfitte, poiché chi spende soldi, tempo ed emozioni per gioire in un fine settimana non vuole andar via deluso. Talune esagerazioni, però, sono comunque intollerabili. Quante volte i pullman o le auto dei calciatori sono prese d’assalto da supporter i quali nutrono antipatia per qualcuno che non considerano all’altezza? Quanto reagiscono male gli ammiratori quando non viene loro concesso un autografo perché gli atleti sono impegnati ad allenarsi?
Una sfida dovrebbe impartire i valori della lealtà, del rispetto altrui, dell’impegno, tanto a chi la pratica quanto a chi vi assiste, ma sovente diventa terreno di scontro per fazioni in eterna lotta fra di loro. Gli agonisti diventano, obtorto collo, segretari di partito i quali devono condurre le masse verso una misteriosa liberazione. Va bene manifestare le proprie emozioni – di gioia e di pianto -, ma cosa c’entrano gli ultras con lo sport? Perché dobbiamo vivere in un mondo in cui ci si deve preoccupare dell’indotto che circonda persone che giocano e si divertono? E’ solo un caso che “fan” derivi da “fanatico”? Per Karl Marx il calcio forse sarebbe il nuovo “oppio dei popoli” e non avrebbe avuto tutti i torti, siccome secondo Winston Churchill <<gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e le guerre come se fossero partite di calcio>>. Le tante sconcertanti notizie sulle ritorsioni perpetrate dai tifosi verso i giocatori nel calcio locale perché non ci fanno ribrezzo? Perché si promuove la ricerca sul cancro più di quella sulla SLA? Roman Reigns ha riscosso più apprezzamento dopo aver ammesso di soffrire di leucemia, che non prima, perché si è compreso come le ricchissime star del wrestling siano esattamente come noi. La famiglia di Michael Schumacher ha dovuto vendere varie proprietà per poter pagare la riabilitazione del campione ma la guarigione non è affatto sicura. Molti potrebbero avanzare la critica per la quale il tedesco abbia almeno i fondi per provarci, ma chi ha tante fortune sa in che modo ripagare e “Schumi”, così come Cristiano Ronaldo e altri, ha fatto parecchia beneficenza, in quanto si immedesimava nei poveri. Perché non proviamo pure noi a capire come l’esistenza degli atleti sia più simile alla nostra di quanto crediamo?