Ave o Cippus! Considerazioni sul Cippus dopo la conferenza del 4 marzo scorso a Nola

Ave o Cippus! Considerazioni sul Cippus dopo la conferenza del 4 marzo scorso a Nola

di Valentina Guerriero

La conferenza tenutasi il 4 Marzo 2023 al Museo Archeologico di Nola ha riportato l’attenzione sul Cippus Abellanus, documento in lingua osca che chiunque abiti tra Nola ed Avella avrà sentito nominare nella sua vita almeno una volta, e la cui enorme importanza è nota e indiscussa agli studiosi del settore. Eppure il Cippus risulta poi per il resto, anche all’interno della stessa Campania, sconosciuto ai più, oppure visto al massimo come un oggetto misterioso, suggerito dalle guide, o nei trattati, senza che venga fornita ad esso una vera spiegazione comprensibile: un enigma per gli osservatori esterni, almeno al pari di quanto non sia ancora un enigma per gli archeologi il contenuto delle sue iscrizioni, tuttora non completamente decifrate, a distanza di quasi 300 anni dal ritrovamento. Scoperto nel 1751 ad Avella, da parte del sacerdote di origini genovesi Remondini, che portò la pietra al Seminario di Nola, questo ritrovamento ha dato luogo a un susseguirsi di importanti studi della lingua osca (che come vedremo, è molto simile all’etrusco) da parte di eminenti studiosi, fra cui spicca il nome del Mommsen (tedesco, nel 1851 pubblicò l’opera dei dialetti dell’Italia antica e gli elementi di grammatica osca). Una fila ordinata di questi nomi che si sono applicati nello studiare le iscrizioni osche è ritrovabile nel Francesco Guerriero (Avella monumentale, parte terza), nella cui appendice vi è anche una riproduzione del Cippus e al quale l’autore era evidentemente legato; qui, nel capitolo dedicato alla nostra stele calcarea, è fatto anche il nome del sacerdote avellano, Borzelli, che lo donò al Remondini dopo che quest’ultimo lo scoprì nella soglia d’ingresso di un portone.

Ave o Cippus! Considerazioni sul Cippus dopo la conferenza del 4 marzo scorso a Nola

Riproduzione del Cippus Abellanus presente nel Francesco Guerriero: un trattato internazionale fra gli abitanti di Avella e quelli di Nola (Novula, città nuova), un trattato per divisione di campi.

Questo illustre monumento – come lo chiamano tutti gli archeologi – fu trovato nel 1685 fra le macerie del Castello . Portato in città, lo si adibì per soglia di portone, dove soffrì il danno del calpestio …
… , il quale, non sapendone il valore, da uomo generoso, gliene fece un presento, ed il Remondini , sollecito, lo fece trasportare nel seminario di Nola, ove tuttora si trova. (Avella, Francesco Guerriero)

Ma ritorniamo ai giorni nostri, e all’occasione che ci ha portato a riparlare di Cippus: ovvero la presentazione del libro di Domenico CaiazzaIl Cippo Abellano. Una nuova interpretazione e scritti a corredo”, edito da Ikone nella collana Libri Campani Sannitici. Le copie del libro, stampate in tiratura limitata, sono purtroppo già esaurite e il volume è in attesa di essere ristampato, o disponibile all’acquisto solo ad un prezzo ingrosso di 120€, presso il distributore romano Arbor Sapientiae, ma nella conferenza si è potuto discutere in modo abbastanza ampio del suo contenuto.

L’autore non è un archeologo, bensì un avvocato penalista, originario del paese di Pietramelara (CE) e che da sempre si è interessato di Sanniti e di storia in generale, e a cui si deve la scoperta e gli studi di numerose cinte murarie, come quelle di Trebula (Pontelatone), Sepino o Piana di Monte Verna (nella frazione Villa Santa Croce). Caiazza, fin da giovane, come viene raccontato alla fine di questa conferenza, osservava e scopriva queste mura in deltaplano, e le documentava tramite fotografia aerea, trattandosi dunque non solo di uno studioso ma anche uno sportivo.

La parola all’autore, però, in questa occasione, è stata deliberatamente lasciata per ultima: prima sono ricchi gli interventi degli altri presenti, in quanto il Cippus, la cui importanza è indiscussa, è caro a molti.

Sono presenti il Sindaco di Nola, l’avv.Carlo Bonauro, il vicesindaco di AvellaAnna Alaia (all’ultimo minuto non è potuto essere presente Biancardi), la dott.ssa Antonia Solpietro, direttrice dell’Ufficio Culturale della Diocesi di Nola, il dott.Mario Cesarano, funzionario di zona della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Napoli, l’ing.Luigi Sorrentino (che conosciamo per essersi occupato attivamente degli studi archeologici nei siti di Palma Campania), e potrei continuare a lungo l’elenco semplicemente attingendo alla locandina.

Ma ciò che è importante dire è che la pubblicazione di Domenico Caiazza è stata l’occasione per fare il punto della situazione sul Cippus nel 2023, oramai a tanti anni dagli ultimi studi importanti, quelli di Annalisa Franchi De Bellis dell’Università di Urbino, (a cui si rifanno anche le tavole descrittive del museo di Nola, in cui è presente una copia del Cippus), la cui interpretazione della parola “slage“, sulla quale si soffermerà anche Caiazza, è accettata come quella di luogo di confine. A questi studi si può dare una rapida occhiata semplicemente leggendo il materiale contenuto nel museo di Nola, oppure procurandosi la sua pubblicazione sull’argomento (Il cippo abellano – Annalisa Franchi De Bellis, Edizioni Quattroventi, 1990).

Ave o Cippus! Considerazioni sul Cippus dopo la conferenza del 4 marzo scorso a Nola

La copia del Cippus nel Museo di Nola.

Si potrebbe a lungo parlare dell’importanza del Seminario nolano ai tempi del Remondini, narrato qui dalla Solpietro, o di come la cultura sannita andò a fondersi a quella romana, seguendo le descrizioni di Mario Cesarano, oppure ancora ci si potrebbe preoccupare di come quel meraviglioso museo del Seminario, florido nel ‘700, culla di cultura per la zona e che dai carteggi si deduce avesse scambi con tutta Europa, sia poi finito in qualche modo smembrato, e le cose contenute nella sua collezione, per motivi storici, poi finite altrove, oggi rintracciate per la maggior parte in Germania e a San Pietroburgo.

Ad introdurre e commentare nel dettaglio il lavoro di Caiazza, oltre agli altri, sarà il prof.Aniello Parma dell’Università Telematica Giustino Fortunato.

Tra i presenti spicca la figura dell’archeologa francese Claude Albore Livadiespecialista in osco ed etrusco, il cui intervento precede di poco quello dell’autore e che muove non poche perplessità sulle tesi di Caiazza, apprezzandone però il coraggio, e a cui dopo lascia la parola. Le considerazioni di Caiazza infatti sono, secondo la Livadie, come un seme che dovrebbe spingere a fare ulteriori studi e scavi, in modo da poterne un giorno concretizzare le idee.

Infatti, come accennato prima, la novità sostanziale introdotta da Caiazza è l’interpretazione della parola slage, che secondo l’autore, non sarebbe lo “spazio concluso” bensì risulterebbe in qualche modo inerente al lagus, cioè all’acqua, e che quindi il cippus avrebbe potuto trovarsi in prossimità di una fontana, avendo la funzione di stabilirne l’utilizzo comune da parte dei cittadini di Nola ed Avella. Ad avvalorare l’ipotesi, secondo Caiazza, c’è la considerazione che una fontana del tempo non sarebbe stata costruita con riciclo, o con un rubinetto richiudibile, ma doveva essere invece una fontana che buttava acqua in continuo, da qui l’esigenza di spiegare nel cippus come i cittadini avrebbero dovuto disporne.

Quindi, all’idea che il Cippus si trovasse nei pressi di un santuario (mai ritrovato), a cui si fa chiaramente allusione nelle parti di testo tradotte, si aggiunge quindi adesso la presenza di una fontana. Inoltre il santuario nei pressi del Cippus doveva essere di Ercole, che è sì un dio della forza e dei campi, ma è anche collegato all’acqua, quindi in qualche modo tutto risulterebbe verosimile.

La Livadie sottolinea di come il testo di Caiazza, molto lungo ed elaborato, abbia una consistente impalcatura teorica che forza il lettore alla riflessione. Si tratta di un testo di 288 pagine, non sempre sintetico ed organizzato in più capitoli, che offre spunti d’indagine, e non solo sulla parola slage. Ad esempio, un’altra delle cose che tenta di dimostrare Caiazza, è il fatto che la città di Nola sia stata fondata dai cittadini di Avella, i quali, in seguito ad un disastro naturale, si sarebbero spostati nella pianura nolana. Da qui si giustificherebbe il nome di Novola, “città nuova“. Per quanto l’idea possa essere plausibile, poiché Avella è un territorio intrinsecamente franoso e soggetto a slavine, sottolinea la Livadie, non si hanno però su questo dati certi, e occorrerebbe scavare, in modo da trovare la città antica di Avella, posta in alto, sulla montagna, quella che poi sarebbe andata distrutta. Ciò che è certo, finora, è il ritrovamento di una necropoli nella Forestella, e se c’è la necropoli, dovrebbe dunque esserci anche la città. Inoltre, un altro interrogativo aperto è quello sulle origini degli avellani. Caiazza sostiene che si tratti di un popolo proto-sabellico, molto diffuso anche nel Sannio e nella provincia di Caserta. La sua deduzione si appoggia sui ritrovamenti di alcuni corredi funerari, di gusto proto-sabellico, e dalla forma delle tombe a circolo, tipiche dei ritrovamenti del Sannio, ma in realtà, ciò non prova che ad Avella vi fosse effettivamente questa popolazione: si potrebbe trattare semplicemente di alcuni matrimoni, avuti tra donne avellane e signori proto-sabellici, da qui il gusto dei corredi funerari. La Livadie afferma di non avere dubbi sulle importazioni matrimoniali e le alleanze irpine, ma qualcuno in più sulla capacità di affermare che gli Abellani fossero Sabelli, e si augura che il testo di Caiazza possa smuovere le acque in modo da far indagare ulteriormente sul passato della città. Si fa poi riferimento anche a un ritrovamento del 2013, di un cippo che guardava verso Nola, e di cui poco si è parlato in questi anni. Ogni capitolo di Caiazza, secondo l’archeologa francese, meriterebbe una discussione, e poi solo dopo si potrebbe decidere se appoggiare o criticare: in ogni caso l’unico modo per fare chiarezza sarebbe andare avanti con le ricerche.

Fra le varie cose, nella giornata, viene citata anche la dea Mefitis, divinità delle acque (il cui santuario era posto a Rocca S.Felice, e lì sono state rinvenute diverse iscrizioni osche) e di come i culti venissero “semplicemente sostituiti”, quando si passava da una popolazione all’altra. La divinità osco-sannita Mefitis è diventata, con l’avvento dei romani, quella di Venere, a cui è stata dedicata l’intera città di Pompei. E infatti visti i pochi reperti oschi in nostro possesso, è inevitabile, guardando il Cippus, essere rimandati immediatamente alla Mefite, importante testimonianza dell’artigianato di quel periodo.

Caiazza, al termine dell’incontro, racconta anche di come si sia avvicinato al Cippus, che all’inizio della sua carriera lo stava in qualche modo ossessionando, poiché non riusciva a capirlo. Dopo molto tempo a leggere commenti al Cippus, si rese conto che non lo capiva perché probabilmente nessuno l’aveva capito, non solo lui: da qui l’idea di studiarlo da solo.

In questo non gli si può dare torto, perché chiunque si avvicini al Cippus in qualche modo rimane colpito dal mistero che lo riguarda. Gli approcci al Cippus possano essere solo due: o lo si dimentica, considerandolo come un semplice reperto tra migliaia in cui ci s’imbatte in un museo, mero oggetto d’arredamento e d’intrattenimento da gita scolastica, il cui valore non sarà mai chiaro, oppure ci si inizia a porre delle domande. Caiazza afferma di star studiando il Cippus da quarant’anni e ancora di non aver finito, in questo libro ha semplicemente raccolto i suoi studi fino ad ora.

Si parla anche molto del fatto che Caiazza non è un archeologo, e lo ripete anche lui. Ma il fatto di non provenire da quel tipo di studi, in qualche modo potrebbe offrire punti di vista diversi, più originali, diversi da quelli degli archeologi.

Ci si sofferma poi sulla pericolosità dell’etimologia e si fanno anche alcune considerazioni sul nome della città di Avella, che normalmente si accetta legato al significato di nocciola (in latino, ne è praticamente un sinonimo). Caiazza esclude che Abella possa significare mela, come proposto da alcuni (Virgilio parla di “malifera Abella”, Eneide, VII, 740), per la ricca produzione di frutta, per lui Abella viene da AbyssusAbisso, cioè il luogo da dove vengono le acque, in quanto è noto che tutta l’acqua della zona provenisse da Avella e i romani avevano infatti costruito acquedotti che prendevano l’acqua da qui. Addirittura, il mito di S.Paolino è costruito sul fatto che abbia restaurato un antico acquedotto che prendeva l’acqua da Avella fornendola al paese di Cimitile. Con l’acqua di Avella è risaputo che si innaffiassero gli orti di Nola, da sempre. Il nome Clanio, invece, verrebbe da Clanius, Lanius, cioè lagno.

Tutti questi argomenti sono indubbiamente ricchi di fascino il quale, almeno per il momento, non andrà ad esaurirsi, poiché rimarranno ancora per molto tempo insoluti.

Nel frattempo vi lascio con queste frasi di Francesco Guerriero, che esattamente come lo hanno gli avellani di oggi, mostra il rammarico che si aveva già alla fine dell’800 di non possedere il Cippus, il quale, tolto da Avella, è stato trasportato a Nola (nemmeno nel Museo) e dove in pochi ne possono fruire. Ma, consolazione, la scienza lo deve avellani.

E si dice: – O grandezza della patria, tu qui, nel Seminario, sei una realtà, e per noi avellani non sei che una memoria! Ma tagliamo corto su questo argomento, che troppo ci cuoce, tagliamo!…
Comunque si sia, consoliamoci, perché questa pietra, che tanto parla agli animi dei dotti archeologi, che fa pensare tanto chi ha l’uso del pensiero, è nostra: la scienza la deve agli avellani.

Ave, o Cippus!

(Avella, Francesco Guerriero)