Di Ruvo contro Sgarbi. Quel giglio non è angioino, ma federiciano.  Il critico d’arte visita la Chiesa Rupestre di Santa Margherita.

Di Ruvo contro Sgarbi. Quel giglio non è angioino, ma federiciano.  Il critico d’arte visita la Chiesa Rupestre di Santa Margherita.

Puntuale come sempre il famoso critico d’arte, lo scorso 28 settembre è arrivato davanti alla chiesa angioina con la fretta di chi sa già cosa gli aspetta.

Aperti i cancelli della preziosa basilica bizantina, Mauro Di Ruvo fa il suo ingresso nella splendida Chiesa Rupestre di Santa Margherita, un tesoro di antica bellezza per l’Italia.

Arrivato sull’altare maggiore lo sguardo del cavaliere incrocia quello enigmatico della Santa di Antiochia.

L’occhio del critico è austero ma affascinato dalle “antinomie dello spirito che emana questo viso così stranamente dolce ma bizantino atipico”, dichiara Di Ruvo.

Da adesso per la Santa è nuova storia e sorge una nuova luce sulla sua figura.

“La storia di questo luogo sospeso dalla terrestre mondanità” – dice il critico – “è densa di stratificazioni geopolitiche ed etnografiche che hanno apportato alla superficie della prima unità stratigrafica, che chiamiamo Ums 0 (unità metrica stratigrafica di grado zero), altre sezioni e aggiunte sia pittoriche che architettoniche, le quali hanno inquinato il livello culturale di base, cioè quello genuino, con rappresentazioni figurative afferenti al contesto arabo-orientalizzante.”

Di Ruvo ha individuato dei punti di snodo tra le varie sovrapposizioni cronologiche delle maestranze che si sono succedute nel tempo per la decorazione parietale della Chiesa, proprio nella prima campata e nella crociera.

“Ci sono delle dissonanze tra le pitture rupestri come un dislivello tra due strade comunque connesse tra loro, e la giuntura è l’evidenza sia della forzatura arcaizzante sia della distanza stilistica tra due culture, quale quella arabo-bizantina e quella romano-giottesca.”

Il segno più evidente di quello che Di Ruvo chiama “sostrato angioino-federiciano” proveniente dall’area napoletana e siciliana, che si scontra “con un insolito trattamento delle vesti e delle linee fisionomiche oculari” sarebbe infatti, oltre al caso della prima testimonianza qui presente dell’incontro dei tre vivi con i tre morti di derivazione miniaturistica gotica (parole di Di Ruvo),  il volto della Santa Margherita, l’intestataria della Chiesa.

Quel giglio di cui Sgarbi ha sostenuto nella sua ultima visita una appartenenza angioina, all’interno della scena dell’incontro dei tre vivi con i tre morti, un unicum all’interno del panorama europeo, non è affatto leggibile come simbolo della corte napoletana, quanto più come anthos nobilitatis, e cioè come fiore comunemente definito nei trattati tardo medievali e nei bestiari, come attributo di regalità, poi usato anche dalla Signoria di Firenze. Ma gli Hohenstaufen furono tra i primi a utilizzarlo nelle loro corti meridionali.Di Ruvo contro Sgarbi. Quel giglio non è angioino, ma federiciano.  Il critico d’arte visita la Chiesa Rupestre di Santa Margherita. Di Ruvo contro Sgarbi. Quel giglio non è angioino, ma federiciano.  Il critico d’arte visita la Chiesa Rupestre di Santa Margherita.