Guida Sentimentale: Manfredi non passò per le Pietre del Signore, ma per la Via della Neve

Guida Sentimentale: Manfredi non passò per le Pietre del Signore, ma per la Via della Neve

di Valentina Guerriero

Mi ritrovo a dover puntualizzare ciò che è stato scritto nel precedente articolo “La leggenda delle Pietre del Signore“. Non avendo tracce di Federico Barbarossa, qualcuno aveva ipotizzato la presenza sulle pietre di Manfredi, nipote del Barbarossa, figlio di Federico II, sulla base di un resoconto storico che ci proviene da Nicolò de Jamsilla.

Il testo, che è in latino, il cui altisonante titolo abbrevieremo in “Historia“, copre un arco narrativo che va dal 1210 al 1258, ed è stato scritto probabilmente dal segretario di Manfredi, e che era al suo seguito. Si tratta di un testo fondamentale, di riferimento, per capire tutta la storia dell’Italia Meridionale dei secoli XII XIII. Anche Benedetto Croce definì l’Historia “una delle più importanti opere della storiografia italiana del secolo decimoterzo“.

Qui è narrata la fuga di Manfredi in Irpinia, in un tragitto da Marigliano a Lucera, causata da un “piccolo incidente”. Avendo delle contese con il papato, in seguito all’uccisione imprevista di un certo Borrello, amico del papa, Manfredi si trovò a dover scappare ed evitare i feudatari nemici, che appoggiavano il papa, il quale sarebbe stato sicuramente contrariato dell’uccisione di Borrello.

Procurandosi il testo originale, è facile capire che le colline di Avella e Baiano niente c’entrano con quest’episodio, in cui è evidente che la deviazione all’interno dei boschi, sulla sinistra, venne fatta all’altezza di Monteforte, quando già se ne avvistava il castello. (Giunti al castello di Monteforte […] si deviò dal passaggio di Monteforte e si prese la via attraverso monti alti ed impervii e molto disagevoli per il passaggio non solo dei cavalli, ma anche degli uomini)

Nel testo si deve fare attenzione ai nomi di Mallianum e Manlianum, molto simili e tradotti entrambi come Magliano, ma che si riferiscono a due castelli ben distinti: di Marigliano e di Mercogliano; in particolare, è in quest’ultimo che il principe e i suoi accompagnatori sbucarono, dopo un percorso tortuoso fra i monti, imboccato all’altezza del passo di Monteforte, e che, se Jamsilla ha riportato fedelmente gli eventi, si tratta della cosiddetta “Via della Neve” (sentiero 214) che parte da Monteforte in località Vetriera, per poi deviare, all’altezza della faggeta, verso Acqua Fidia. Da qui si imbocca un antico sentiero (sentiero 213) che sbuca a Capocastello, Mercogliano, dove ci sono i ruderi del suo castello. Qui giunsero Manfredi e i suoi uomini, e come si legge in Jamsilla, sul posto ebbero altri problemi, poiché solo una volta arrivati scoprirono, dagli abitanti del luogo, che questo castello apparteneva a Bertoldo, loro nemico.

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Infatti, volendo spiegare meglio gli antefatti storici, questa fuga di Manfredi fu originata da un dissidio con lo stato pontificio, che sempre diede problemi in vita al principe, il quale per diritto di nascita avrebbe dovuto regnare sull’Italia Meridionale ed era il figlio favorito di Federico II, con il quale aveva trascorso molto tempo. Nato da madre italica (Bianca Lancia, della nobile famiglia piemontese dei Lancia), Manfredi, secondogenito, era cresciuto nella reggia di Federico II e con i suoi insegnamenti, mentre il primogenito, Corrado IV, (avuto dalla moglie di Gerusalemme, Jolanda di Brienne) si trovava in Germania. Alla morte di Federico II lo scenario diventò particolarmente instabile e il papa concesse la contea di Lesina e Monte Sant’Angelo (in Puglia, sul Gargano), possedimenti di Manfredi, a uno dei suoi uomini, Borrello d’Agnone, già nemico di Manfredi da tempo. In un incontro con il papa, con cui Manfredi fino a quel momento aveva cercato di mediare, e con Bertoldo di Hohenburg, tenutosi sul Garigliano (il papa soggiornava a Teano, ma ci sarebbe stato a breve l’incontro), Borrello fu “accidentalmente” ucciso, così per evitare ritorsioni, Manfredi si ritrovò a fuggire fino a Lucera, dove aveva il suo castello e da lì avrebbe riorganizzato le truppe. Al confine con il Lazio, insomma, erano andati a discutere sul da farsi in modo, almeno in teoria, pacifico, ma la situazione era degenerata a causa dell’uccisione non voluta di Borrello, per il quale vennero offerte anche delle scuse, essendosi trattato di un imprevisto. Quindi, un altro dei nemici di Manfredi, come si evince dalla storia, è Bertoldo di Hohenburg, schierato dalla parte del papa, che voleva evitare l’ascesi di Manfredi al trono di Sicilia, favorendo altre persone. A Bertoldo era già stato affidato il baliaggio di Corradino, l’unico legittimo erede al trono, un bambino di soli due anni, figlio di Corrado IV (il fratello di Manfredi), che nel frattempo era morto da poco. Chi teneva con sé il bambino, in qualche modo ne avrebbe amministrato gli averi fino alla sua maggiore età, rendendo Bertoldo un altro candidato a regnare al posto di Manfredi. E infatti, nella fuga di Manfredi, essi si ritrovano a dover evitare proprio il castello di Monteforte, di cui Bertoldo era signore.

Nel percorso descritto nel testo originale di Jamsilla, si può leggere che Manfredi fu accompagnato da due nobili napoletani, Marino e Corrado Capece, che possedevano il castello di Atripalda, dove poi in serata soggiornarono, accolti dalle loro belle mogli. Anche la città di Avellino fu evitata, dato che era territorio controllato da Bertoldo.

Ma tutto sarà più chiaro e completo leggendo il testo originale, in cui sono vivide le descrizioni dei nostri monti che con il buio spaventarono non poco gli uomini di Manfredi, che già provenivano da una pesante giornata e il cui destino era incerto. Essendo una strada piena di burroni, si trovarono in molti tratti costretti a scendere dai cavalli, fidandosi più dei loro piedi che dei loro animali, che avanzavano con difficoltà e rischiavano di cadere ad ogni passo. Il testo è di agevole lettura, ed è molto apprezzato, Jamsilla, proprio per il modo in cui particolareggia e descrive con trasporto le vicende storiche, come solo un testimone oculare avrebbe potuto fare. In realtà, ben poco si sa di Jamsilla, il cui nome è stato ricavato da uno dei manoscritti dell’Historia, e che potrebbe non appartenere al vero autore. Probabilmente scritto tra il 1258 e il 1266, cioè tra l’anno dell’incoronazione di Manfredi e quello della sua morte, in un momento di splendore e tranquillità del regno, il testo di Jamsilla è custodito attualmente, nella sua versione più antica, nella Biblioteca Nazionale di Napoli (IX C 24 del XV sec.).

Ma vi lascio con la lettura del passo che ci interessa.

Testo originale:

Il principe partì da Acerra prima di mezzanotte accompagnato dal conte di Acerra suo cognato fino ad un castello detto Magliano (Mallianum, Marigliano): facevano parte del gruppo due giovani nobili fratelli napoletani, Marino e Corrado Capece. Poiché essi possedevano per diritto ereditario un castello ed alcune terre, conoscevano per esperienza la natura ed i passaggi di quei luoghi attraverso i quali il principe sarebbe passato senza correre pericoli. Il principe dunque procedeva con il suo seguito con la scorta di quei due giovani. Giunti al castello di Monteforte (di proprietà del marchese Bertoldo di Hohenburg, al quale lo aveva donato il Corrado), presso il quale si passava per la via pubblica, poiché quel luogo non senza ragione destava sospetti nel principe a causa del suddetto marchese, che come già riferito, lo aveva apertamente tradito ed era ufficialmente passato alla parte avversa, su indicazione dei suddetti Marino e Corrado si deviò dal passaggio di Monteforte e si prese la via attraverso monti alti ed impervii e molto disagevoli per il passaggio non solo dei cavalli, ma anche degli uomini. Infatti, essendo notte, i burroni dei monti che bisognava attraversare apparivano di gran lunga più terribili e più profondi di quello che erano; e talvolta si giungeva in punti tali che o per timore dell’imminente rovina o per l’oscurità dell’aria allorché veniva a mancare lo splendore della luna che era in opposizione, essi perdevano la speranza di uscirne fuori e ciascuno aspettava la propria sicura fine. In mezzo a quegli oscuri pericoli diminuiva in qualche modo in essi la paura solo se scendevano dai cavalli e, procedendo a piedi, cambiavano la paura con la fatica: infatti in quella via si fidavano più dei propri piedi che di quelli dei cavalli, anzi giudicavano più lieve il danno di quell’incerto vagare se per caso cadevano scivolando coi loro piedi che se, cavalcando i loro cavalli, precipitavano insieme ad essi.

Fra queste difficoltà e gravi pericoli il principe passò con il suo seguito; e verso l’alba si giunse ad un Castello detto Magliano (Manlianum, Mercogliano) attraverso il quale egli ed i suoi dovevano passare. Agli abitanti di quel castello che chiedevano notizie di quel gruppo di persone fu risposto da alcuni che apparteneva al marchese Bertoldo: tuttavia, essendosi già sparsa la notizia della morte di Borello e della partenza del principe, tra alcuni abitanti di quel castello cominciò a diffondersi il convincimento che si trattasse del seguito di costui, ed alcuni sostenevano che bisognasse conoscere chi fossero quelli che stavano passando e non permettere loro di proseguire senza un’indagine e una discussione. Difficile era poi il passaggio verso quel luogo, tanto da essere costretti a procedere uno dopo l’altro; inoltre gli abitanti avevano chiuso le porte per timore che il loro municipio venisse occupato, e a chi passava di là avevano lasciato una via assai angusta e difficile nella parte esterna del paese accanto alle mura, tanto che, essendosi arrestati per la strettezza del passo gli animali carichi che procedevano con le masserizie, alcuni della compagnia del principe che seguivano credettero che quegli animali fossero stati trattenuti con le masserizie dagli abitanti ed impediti di passare, ed ognuno cominciò a meditare sul proprio destino.
Accadde quindi che il principe e i suoi riuscirono ad attraversare quel difficile luogo non senza grandi incertezze, e deviando dalla città di Avellino, nella quale il predetto marchese di Hohenburg aveva potestà e forze, giunsero sani e salvi prima delle nove al Castello di Atripalda, appartenente ai suddetti Marino e Corrado. […]

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Testo in latino:

Recessit enim Princeps de Acerris ante mediam noctem comitante eum Comite Acerrarum cognato suo usque ad quoddam Castrum, quod Mallianum vocatur; erantque in comitiva ipsius Principis duo juvenes fratres nobiles Neapolitani, quorum alter Marinus Capece, alter vero Conradus vocatur. li quia Castrum quoddam et vicos patrimoniali jure habebant, sciebant ex assuetudine locorum illorum qualitates et transitus, per quos Princeps salubriter esset transiturus. Ducatu ergo illorum duorum juvenum Princeps cum comitiva sua proficiscebatur; cumque perventum esset ad Castrum Montisfortis, quod tenebat Ludovicus frater Bertholdi Marchionis de Honebruch ex dono Regis Conradi, per quod quidem Castrum viae publicae transitus erat, cum locus ipse non immerito Principi suspectus esset propter predictum Marchionem, qui Principem, sicut dictum est, manifeste deseruerat, et pubblice in patem contrariam conversus erat, ex instructione praedictorum Marini e Conradi declinatum est a transitu illius Castri Montisfortis, et arreptum est iter per montes excelsos et invios, nedum equitum sed peditum transitui difficillimos. Cum enim nox esset, luna tamen lucente apparebant declivia montium, per quae transitus erat, longe terribiliora et profundiora quam erant; et ad id loci quandoque perveniebatur, in quo vel propter imminentis ruinae formidinem, vel propter aeris opacitatem, splendore luna per oppositionem aliquando deficiente, nulla spes eis inde exeundi remaneret, et certum quisque ibi suum periculum expectaret. Levigabatur sane eis in illa tenebrosa periclitatione quodammodo timor, si ab equis descenderent, et eundo pedites timorem pro labore commutarent: magis enim propris, quam equorum suorum pedibus credebant viae illius, immo ac dubitabilis peregrinationis leviorem quidem extimantes esse ruinam, si ex propriorum pedum lapsu forsitan caderent, quam si sedentes in equis cum equorum ipsorum precipitatione corruerent.

In hac ergo difficultate et multo discrimine Princeps cum sua comitiva transivit; et circa diluculum perventum est ad quoddam Castrum quod Manlianum vocatur, per cujus Castri medium Princeps et sui transituri erant. Quaerentibus autem illius Castri incolis de comitiva illa, quae esset, dictum est ab aliquibus comitivam esse Marchionis Bertholdi: verumtamen cum fama casus mortis Burrelli et discessus Principis ibi jam sparsa esset, coepit apud aliquos de Castro illo esse credulitas, quod illa comitiva Principis esset, dicebantque aliqui conveniens esse scire qui essent isti, qui sic transeunt, et non permitti eos sine requisitione et discussione transire. Erat autem transitus illius loci difficilis, ita quod oportebat eos unum ire post alium; municipes quoque illi portas clauserant, de nunicipii captione dubitantes, viamque transeuntibus dederant satis angustam et difficilem pro exteriore municipi parte juxta ipsos municipii muros, ita quod, cum onerata animalia, quae cum arnesiis praecedebant, propter transitus illius angustiam se fixissent, aliqui de comitiva Principis, qui sequebantur, crediderunt animalia illa cum arnesis per municipes esse retenta, et transitum eis impediri, coeperuntque de fortuna quisque sua experienda cogitare. Factum est autem quod locum illum difficilem non sine magna dubitatione transierunt Princeps et sui, et divertentes a Civitate Avellini, in qua praedictus Marchio de Honebruch potestatem et vires habebat, ad Castrum Atripaldae, quod est predictorum Marini et Conradi, quasi ante horam tertiam salubriter pervenerunt.

Fonti:

Nicolai Jamsilla – Historia de rebus gestis Frederici II imperatoris eiusque filiorum Conradi et Manfredi Apuliae et Siciliae regum – Biblioteca Nazionale di Napoli

Nicolò Jamsilla – Le gesta di Federico II Imperatore e dei suoi figli Corrado e Manfredi. Introduzione, traduzione e commento a cura di Francesco De Rosa – Francesco Ciolfi Editore Cassino